Lotta al cambiamento climatico: Italia 44esima

Lotta al cambiamento climatico
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Crolla l’Italia nella classifica dei migliori Paesi nella lotta al cambiamento climatico. Nel rapporto annuale di Germanwatch, Can e Newclimate institute presentato in occasione della Cop 28 di Dubai, l’Italia registra un brusco declino nelle performance climatiche passando dal 29esimo al 44esimo posto. Uno scivolone dovuto al rallentamento delle attività legate al taglio delle emissioni climalteranti (in questa categoria l’Italia si classifica al 37esimo posto), alla valutazione insufficiente che lo studio attribuisce alle politiche climatiche nazionali (58esimo posto), e all’aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) definito poco ambizioso, dato che prevede solo un taglio del 40,3% dei gas serra, rispetto al livello del 1990. Un obiettivo lontano da quello del “Fit for 55” europeo del 55% (sempre rispetto al 1990).

 

Lotta al cambiamento climatico: nessun Paese ai primi posti

Il rapporto valuta le performance climatiche di 63 Paesi, oltre all’Unione europea, che rappresentano più del 90% delle emissioni globali. All’interno dell’analisi viene stilato il Climate change performance index (Ccpi), l’indice analizza il trend delle emissioni di ogni singolo Paese (parametro che pesa di più, per il 40% della valutazione), lo sviluppo delle energie rinnovabili (20%) e dell’efficienza energetica (20%), e la valutazione della politica climatica nazionale (20%). Inoltre nello studio è presente una sezione che considera gli impegni presi dai Paesi per il 2030 in rapporto all’obiettivo dell’Accordo di Parigi.

Come si evince dalla figura in fondo all’articolo, nessun Paese ha raggiunto le performance richieste per contribuire efficacemente a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere l’aumento della temperatura entro la soglia critica di 1,5°C, pertanto le prime tre posizioni della classifica non sono state assegnate.

Al quarto posto troviamo quindi la Danimarca grazie alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti e allo sviluppo delle rinnovabili, seguita dall’Estonia (quinta) e dalle Filippine (sesta), entrambe impegnate nell’azione climatica nonostante le difficoltà economiche. Ai gradini più bassi della classifica si trovano i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come gli Emirati arabi uniti (65), l’Iran (66) e l’Arabia saudita (67).

La Cina, principale responsabile delle emissioni annuali globali, mantiene la sua posizione al 51esimo posto rispetto all’anno precedente. Nonostante lo sviluppo delle rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica, le emissioni cinesi continuano infatti a crescere a causa dell’uso massiccio del carbone. Gli Stati uniti, il secondo maggiore emettitore globale, retrocedono al 57esimo posto registrando un peggioramento di cinque posizioni rispetto all’anno precedente, principalmente per la scarsa attuazione delle misure previste dall’Inflation reduction act (Ira). Gli Stati Uniti sono tra i 20 Paesi con le maggiori riserve sviluppate di petrolio e gas, e sono tra i nove Paesi responsabili del 90% della produzione globale di carbone. Inoltre, prevedono di aumentare la produzione di gas e carbone entro il 2030: ciò non è compatibile con l’obiettivo di 1,5°C.

Infine, solo tre membri del G20India (settima), Germania (14esima) e Unione europea (16esima) – si posizionano nella parte alta della classifica. La maggioranza, infatti, si colloca nella parte bassa con Canada (62esima), Russia (63esima), Sud corea (64esima) e Arabia saudita (67esima) tra quelli con detengono le performance climatiche più deboli.

Lotta al cambiamento climatico: Italia 44esima

Articolo pubblicato su asvis.it

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