Per l’esattezza, il report parla di 480 miliardi di euro di perdite da attribuire, però, per il 18% ad eventi geofisici quali terremoti ed eruzioni vulcaniche e per l’82% (pari appunto a 393 miliardi di euro) ad eventi estremi correlati al climate change come tempeste, incendi boschivi, ondate di calore più quelli riconducibili al dissesto idrogeologico (alluvioni, inondazioni, ecc…).
L’Italia, nella speciale classifica dei danni economici subiti per via del cambiamento climatico, nel periodo osservato (1980-2013), è seconda con 60 miliardi di euro di perdite, prima la Germania (78), seguono Francia (53), Gran Bretagna (46) e Spagna (33). Tra questi Paesi è interessante anche confrontare la percentuale di eventi estremi assicurati ed in questo l’Italia possiede il triste primato del fanalino di coda. Infatti, dal report emerge che il Paese europeo ad essere maggiormente previdente è la Gran Bretagna con una quota assicurata pari al 68% dei danni subiti, la Francia aveva assicurato il 48%, la Germania il 44%, la Spagna il 12% e l’Italia (solo) il 3%.
Come cambia il Mediterraneo (e l’Italia)
Le regioni del Mediterraneo sono quelle che maggiormente risentono degli effetti del cambiamento climatico e già si trovano ad affrontare diverse difficoltà. La diminuzione delle piogge (soprattutto nel periodo estivo), la minor disponibilità di acqua da utilizzare per l’agricoltura, i periodi di siccità sempre più diffusi, gli incendi delle foreste, la perdita di biodiversità, sono alcuni dei fattori influenzati dal cambiamento climatico e che incidono in modo diretto sul benessere delle persone in termini economici, di salute e di coesione sociale. Secondo lo studio dell’EEA, la competizione per l’accaparramento delle risorse naturali (come l’acqua) aumenterà creando nuovi problemi di tipo socio-economici. Nel report si legge che il Mediterraneo è una regione chiave per capire gli effetti del climate change poiché possiede “il maggior numero di settori economici gravemente colpiti” ed “è fortemente vulnerabile alle ricadute sugli scambi agricoli e alle modifiche dei flussi migratori” (migranti climatici e non).
La produzione di energia, il fenomeno delle specie aliene invasive e persino il settore del turismo (destinato a diminuire nei periodi estivi e ad aumentare nelle altre stagioni) risentirà degli effetti del cambiamento climatico.
Ma come incide il climate change sul benessere della popolazione europea? Vediamo in breve alcuni punti salienti del report.
Costi delle emissioni antropiche per l’Europa
Il 2016 è stato l’anno più caldo di sempre e le proiezioni ci dicono che la temperatura continuerà ad aumentare. La concentrazione di CO2 ha per la prima volta nella storia ha raggiunto le 400 parti per milione (ppm) in atmosfera e a livello globale siamo intorno ad 1° di aumento medio rispetto ai livelli pre-industriali (1880).
Spostando il focus solo sull’Europa, dallo studio EEA emerge che la temperatura registrata nel decennio 2006-2015 è stata più calda di 1,5° centigradi rispetto alla media del periodo pre-industriale e che quindi il vecchio continente risente maggiormente della variazione climatica.
Il cambiamento climatico incide sul benessere umano. I più importanti effetti sulla salute umana sono riconducibili agli eventi estremi quali inondazioni e ondate di calore. In particolare, le ondate di calore (condizioni meteorologiche estreme caratterizzate da temperature al di sopra dei valori usuali, possono durare settimane) hanno causato migliaia di morti premature in Europa dal 2000 ad oggi e le inondazioni hanno colpito milioni di persone negli ultimi 10 anni mettendo a repentaglio la loro vita (ferite, infezioni, maggior esposizione a rischi chimici, conseguenze per la sanità mentale).
Altro fattore che incide in modo diretto sulla salute umana, e che il report evidenzia, è quello relativo alla diffusione di nuove e vecchie malattie associate alla migrazione (causata dall’aumento delle temperature) di specie come, ad esempio, la zanzara tigre. Inoltre, è stato dimostrato che le recenti epidemie che hanno colpito gli Stati del mar Baltico sono connesse all’aumento della temperatura marina.
Capitolo precipitazioni. Per quanto riguarda le “normali” precipitazioni, queste sono in crescita soprattutto in inverno e nel nord Europa e diminuiscono soprattutto in estate e maggiormente nei Paesi del sud.
Per quanto riguarda le “forti” precipitazioni (quelle in grado di generare maggiori danni), negli ultimi decenni sono aumentate di numero e si prevede che diventeranno sempre più diffuse, soprattutto nel periodo invernale.
La superficie dei ghiaccia europei sta diminuendo. Dal 1900 la regione montuosa delle Alpi ha perso circa il 50% dei suoi ghiacciai con una chiara accelerazione dall’anno 1980. La riduzione del volume dei ghiacciai significa minore riserva e fornitura di acqua dolce e minore disponibilità di acqua per l’irrigazione, senza contare il fatto che i fiumi in questo modo non possono più essere navigati. Secondo l’ultimo report dell’IPCC l’assottigliamento dei ghiacciai artici, la riduzione della copertura nevosa e la fusione delle calotte polari di Groenlandia e Antartide faranno aumentare, in media, di 50 centimetri il livello dei mari durante il ventunesimo secolo ma ci sono già diversi studi che sostengono molto di più (1,5-2 metri). Vedremo se i prossimi report dell’IPCC confermeranno questa tesi.
Gli ecosistemi globali ed europei sono sottoposti a 5 maggiori fattori di stress: cambiamento degli habitat, diffusione delle specie aliene invasive, problemi di sfruttamento e gestione, inquinamento e uso di fertilizzanti e pesticidi, cambiamento climatico. Il cambiamento climatico agisce come moltiplicatore dei disastri causati dall’uomo sull’ambiente ed ha effetti devastanti sulla biodiversità compromettendo gli stock di capitale naturale destinati al genere umano.
L’acidificazione degli oceani e l’aumento della temperatura della superficie marina sono problemi destinati ad ingigantirsi. I cambi di temperatura generano variazioni significative nella distribuzione delle riserve ittiche e quindi impattano negativamente sulle comunità che dipendono da quelle stesse riserve. Il cambiamento climatico agisce anche in maniera negativa sull’ossigeno presente negli oceani fortificando gli effetti negativi che derivano dallo sversamento dei fertilizzanti agricoli.
Il climate change modifica la portata delle acque dolci e aumenta il rischio inondazioni. Le piogge europee sono destinate a diminuire nel periodo estivo e in futuro avremo meno nevicate. Anche il periodo delle precipitazioni verrà modificato incidendo in modo diretto sulle estrazioni di acqua e sulle riserve di acqua presenti nei serbatoi creati dall’uomo, tutto questo andrà a modificare anche il paesaggio circostante. Senza azioni di contrasto al climate change, le inondazioni e le alluvioni pluviali direttamente collegate alla portata delle precipitazioni sono destinate ad aumentare.
Modifiche delle condizioni del suolo, nella distribuzione e l’interazione delle specie sono effetti dovuti allo stravolgimento delle stagioni. L’inizio anticipato della primavera, negli ultimi anni, ha determinato uno spostamento del periodo relativo all’impollinazione e, oltre a quello vegetale, anche il ciclo di vita degli animali risente di queste modifiche. Molte specie hanno cambiato il proprio habitat migrando (generalmente) verso nord e altre si sono estinte. La perdita di biodiversità è maggiore nelle zone di montagna rispetto a quelle pianeggianti. Il cambiamento climatico influisce in modo negativo anche sul fenomeno delle specie aliene invasive (secondo Legambiente generano 12 miliardi di euro di danni l’anno in Europa). Già il 14% degli habitat e il 13% delle specie sono sotto pressione. Anche il suolo risente di questi effetti. Si è registrata, infatti, una variazione dell’umidità presente nel suolo in tutta Europa ma soprattutto nella regione mediterranea.
Si stanno modificando i rapporti tra fattori climatici ed eventi stagionali di notevole importanza per l’agricoltura, gli allevamenti e la medicina. I fattori climatici hanno inciso sul periodo di fioritura e le date di raccolta. Fenomeni come periodi di siccità, ondate di calore, grandinate, hanno ridotto la produzione di determinate colture. In futuro i rischi per il raccolto saranno sempre maggiori e questo inciderà sia sull’allevamento del bestiame che sulla disponibilità di determinate piante destinate al settore farmaceutico. Altro problema da non sottovalutare è l’acqua disponibile per l’irrigazione: diminuirà soprattutto nell’Europa del sud dove ci sono luoghi in cui già scarseggia creando una forte competizione per l’accaparramento della risorsa. Anche se gli effetti saranno diversi tra colture e tipi di allevamento, in generale in futuro registreremo una riduzione della produttività delle colture nell’Europa meridionale ed un aumento in quella settentrionale.
Clima e settore energetico. Nei prossimi anni non dovrebbe variare di molto la domanda di energia europea. Ciò che invece varierà è il mix energetico. Negli ultimi anni la domanda di energia per il riscaldamento è cresciuta nel nord Europa mente per il centro e il sud è la domanda di raffrescamento a registrare una crescita.
Gli eventi estremi possono avere un impatto negativo sia sulla generazione di energia elettrica da fonte rinnovabile che su quella convenzionale. Ad esempio, ulteriori periodi di siccità metteranno a rischio l’acqua disponibile utilizzata dagli impianti di energia termica per la produzione di elettricità. Qualche beneficio, invece, potrà essere riscontrato nelle regioni del nord con l’aumento dell’energia prodotta da idroelettrico ma in linea di massima gli impatti sul settore energetico potrebbero essere estremamente negativi.
Clima, infrastrutture e trasporti. I sistemi di trasporto più colpiti saranno quelli delle zone montuose, delle zone costiere e delle regioni soggette maggiormente ad eventi estremi. Secondo uno studio del Joint Research Centre (JRC) i danni legati alle infrastrutture potrebbero triplicare entro il 2020 e aumentare oltre 10 volte entro la fine del secolo rispetto ai danni registrati nel periodo 1981-2010. Le regioni che saranno maggiormente colpite sono quelle del sud Europa.
Cibo, acqua, salute, medicine, sicurezza, futuro. Tutto è messo in discussione dal cambiamento climatico.
Fermare l’aumento medio della temperatura globale sotto l’asticella dei 2° centigradi è l’obiettivo internazionale previsto dall’Accordo di Parigi ma anche il report EEA conferma: la maggior parte degli scenari ci dicono che a questi ritmi non riusciremo mai stare nei 2 gradi. È ormai chiaro che gli effetti negativi del cambiamento climatico non sono omogenei: aumentano con l’aumentare della temperatura e variano da regione a regione. Nella seguente immagine di sintesi si possono notare i principali impatti che il clima avrà sul suolo europeo in relazione alle macro aree. È questo il momento, perché siamo già in forte ritardo, di mettere in campo azioni di contrasto al cambiamento climatico in modo da limitare il più possibile i danni sull’economia, la salute e la coesione sociale dei cittadini.
Le istituzioni lo sanno.