Cop 28: serviva di più sui combustibili fossili

 

E alla fine arriva “transitioning away”. Un termine distante dal “phase out”, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili chiesta a gran voce dalla scienza – qui per cosa ci si aspettava su Cop 28 – , e più vicino al “phase down”, la riduzione graduale che l’Opec, l’organizzazione dei Paesi produttori di combustibili fossili, voleva mantenere nel testo negoziale. Una decisione che scontenta in particolar modo i Paesi più vulnerabili tra cui quelli che rischiano letteralmente di scomparire, come gli Stati insulari del Pacifico. “Eravamo qui per costruire una canoa ma ora ci troviamo con una piena di buchi, dobbiamo comunque metterla in acqua perché non abbiamo nessun’altra opzione”, hanno per esempio dichiarato i delegati delle Isole Marshall.

Ma ne sono successe di cose durante questa ventottesima conferenza sul cambiamento climatico dell’Onu. È stata per esempio la Cop della decisione fulminea sul Loss and damage, è stata la prima Cop che ha intrecciato clima e alimentazione senza però poi produrre risultati significativi, è stata la Cop dei quasi 100 mila partecipanti, tra cui 2456 facenti parte delle compagnie petrolifere, ed è stata in assoluto la Cop del controverso presidente petroliere: Sultan al-Jaber. Purtroppo non è stata la Cop della partecipazione dal basso, che è mancata a differenza di Cop 26 (Glasgow), ma anche di Cop 27 (Sharm el Sheik), viste le tante restrizioni imposte dal “clima” non proprio democratico che si respira negli Emirati Arabi. Speriamo che per Baku (Azerbaigian), prossima sede della Conferenza, le cose saranno diverse. Vediamo di seguito cosa emerge dal documento finale e da questi lunghi giorni negoziali di Dubai.

 

Approvato il primo Global stocktake (Gst) dopo Parigi

Come raccontato prima del summit, la principale speranza riposta sulla Cop 28 ruotava intorno alla presenza o meno del “phase out” dai combustibili fossili all’interno del testo conclusivo. Un passo necessario per mantenere vivo l’obiettivo 1,5°C – inteso come aumento medio della temperatura rispetto al periodo preindustriale – dell’Accordo di Parigi, quanto scomodo per chi ha basato la sua economia interamente sul settore fossile. E, infatti, sono stati soprattutto Paesi come Russia, Iran e Arabia saudita a opporsi all’inserimento del phase out nel documento finale. Oltre 100 Paesi del mondo, tra cui rientra il blocco europeo, spingevano invece nella direzione richiesta dalla comunità scientifica. Sul tema, tra l’altro, si era espressa anche l’Opec durante gli ultimi giorni di trattative, come evidenziato da Toni Federico nelle sue cronache sulla Cop pubblicate sul sito dell’ASviS: “L’Opec, formato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Algeria, Nigeria, Angola, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Venezuela, cui si è aggiunto il Brasile del presidente Lula, ha creduto di emettere il suo diktat in una lettera intercettata dal Guardian. Lo scritto mostra l’estremo livello di preoccupazione dei petrostati per una potenziale decisione di eliminare gradualmente i combustibili fossili: significherebbe che la pressione contro i combustibili fossili potrebbe raggiungere un punto critico con conseguenze irreversibili, ha avvertito l’Opec. Ha esortato i Paesi a rifiutare in modo proattivo qualsiasi testo o formula che miri all’energia, cioè ai combustibili fossili, piuttosto che alle emissioni. Un po’ come dire di voler curare i sintomi, il riscaldamento globale, senza toccare la malattia, i combustibili fossili. Una lettera così commentata da Teresa Ribera, ministra della transizione ecologica spagnola, che ha guidato le posizioni europee in questa Cop: “È quasi disgustoso il pressing dei Paesi Opec. Non chiediamo di eliminare i combustibili fossili dall’oggi al domani. Dobbiamo creare invece le condizioni per una uscita graduale. E su questo l’Unione europea è chiarissima e in linea con la grande maggioranza dei Paesi presenti a Dubai”.

Una pressione che nasce dalle prospettive del settore fossile. Secondo lo studio GOGEL” (Global Oil & Gas Exit List), pubblicato il 15 novembre proprio per lanciare un segnale in direzione di Dubai, che analizza il 95% (1623 compagnie) della produzione globale di petrolio e gas, circa il 96% delle aziende sta ancora pianificando l’esplorazione o lo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas. L’industria fossile si prepara a incrementare del 162% le esportazioni di Gnl (gas naturale liquefatto). In questo modo le aziende fossili continuano a creare “dipendenza”, ricorda GOGEL, dato che parliamo di 129 Paesi coinvolti nelle attività di esplorazione ed estrazione. In cima alla lista delle aziende che si stanno espandendo nel maggior numero di Paesi troviamo TotalEnergies (53), seguita da Shell (41), Eni (40), ExxonMobil (39), BP (29), Petronas (27) e Chevron e Repsol (25). Insomma, i gas serra per calare devono fare i conti con un settore non certo intenzionato ad abdicare. Ma andiamo avanti.

Il testo definitivo del primo inventario delle azioni compiute dagli Stati, quel Global stocktake che va effettuato ogni cinque anni (il prossimo si avrà dunque nel 2028) e che ricorda che i Paesi sono ampiamente fuoristrada sull’Accordo di Parigi e che devono presentare nuovi NDC (impegni di riduzione delle emissioni) entro il 2025, al paragrafo 27 indica che bisogna ridurre le emissioni climalteranti del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto al 2019, per centrare l’obiettivo 1.5°C e la neutralità climatica al 2050. Al paragrafo 28, invece, “richiama i Paesi” a effettuare politiche di “allontanamento (il transitioning away di cui si parlava in apertura) dalle fonti fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questa decade – entro il 2030 -, così da raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, come indicato dalla scienza”.

Inoltre, sempre per quanto riguarda la mitigazione, il testo richiama i Paesi a: triplicare le fonti rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030; ad accelerare il phase down del carbone “unabated”, a ridurre le emissioni di metano e quelle sul trasporto su strada, e a eliminare gradualmente, il prima possibile, i sussidi “inefficienti” ai combustibili fossili.

Si tratta di una parte importante ma che presenta aspetti controversi. Non c’è dubbio che, se proprio vogliamo parlare di “storia”, sia positivo il fatto che per la prima volta, dopo 30 anni di negoziati, nel testo negoziale si associ la riduzione delle emissioni ai combustibili fossili. Soprattutto alla luce del fatto che questa decisione è stata presa in un Paese direttamente interessato, gli Emirati Arabi, e che il presidente di Cop 28, Sultan al-Jaber, è anche l’amministrazione delegato della compagnia petrolifera di casa, l’Adnoc. Resta però l’amaro in bocca per un phase out e una data limite che ancora mancano, per un semplice phase down dal carbone pure “unabated”, e cioè solo quello che non si è in grado di abbattere attraverso soluzioni tecnologiche poco efficaci ed estremamente costose, come la Ccs (Carbon capture and storage). Non rassicura nemmeno il termine “inefficienti” associato a sussidi ai combustibili fossili che, senza una definizione chiara significa tutto e nulla, restando così un parametro parecchio interpretabile. Il ricorso al gas come combustibile di transizione, inoltre, potrebbe essere un elemento che invece di avvicinare allontana alcuni Paesi dall’obiettivo dell’Accordo di Parigi: per i Paesi che lo sostituiscono al carbone si tratta di una soluzione valida, per quelli come l’Italia, che dipendono già tanto dal gas, potrebbe rappresentare un ostacolo per la decarbonizzazione. Bene però l’obiettivo sulle rinnovabili anche se era facile aspettarselo, soprattutto per via delle opportunità di business – anche in termini di forza lavoro – che è capace di generare.
Un testo, in sostanza, che ancora permette l’utilizzo di parecchie vie di fuga, e che è lontano – potremmo dire transitioning away – da quanto chiede la comunità scientifica.

 

Le altre decisioni di Cop 28

Per quanto riguarda l’attività di adattamento ci sono dei miglioramenti rispetto al passato, sebbene la strada sia ancora lunga, soprattutto rispetto al tema dei finanziamenti. Viene stabilito che entro il 2030 ogni Paese dovrà completare una propria valutazione sui rischi legati al clima basata sugli impatti dei cambiamenti climatici e su quanto siamo esposti e vulnerabili. Nei prossimi dieci anni tutti dovranno mettere in piedi dei piani di adattamento chiari e trasparenti, che devono integrare ecosistemi, settori economici, persone e comunità. Un aspetto cruciale sarà appunto la questione finanziaria legata a questi obiettivi, soprattutto nell’ottica di sostenere i Paesi meno sviluppati nell’implementazione di tali strategie di adattamento.

A inizio summit ha sorpreso l’avvio fulmineo del fondo “Loss and damage”, quello destinato ai danni e alle perdite subite dai Paesi vulnerabili, a cui l’Italia ha dichiarato di voler contribuire per una somma pari a 100 milioni di euro, riconoscendo in questo modo la responsabilità storica detenuta dai Paesi industrializzati nell’aver provocato la crisi climatica. Il fondo fino a ora ha raggiunto la cifra di 655,9 milioni di dollari ma risente ancora di una mancanza di regole, obiettivi e target per passare da una finanziamento occasionale a un finanziamento strutturale. Un fondo, occorre ricordarlo, diverso dal Green climate fund che copre le attività di mitigazione e di adattamento e che ha l’obiettivo, fino a ora mancato, di raccogliere 100 miliardi di dollari. In generale, però, ci vorrebbero molti più soldi: la Cop 28 ricorda che in termini di finanza climatica servirebbero 4 mila 300 miliardi di dollari l’anno per la mitigazione e 215-387 miliardi di dollari all’anno (da qui al 2030) per l’adattamento. Per questo ora si punta ad aprire nelle prossime Cop una nuova prospettiva sul tema.

Il documento inoltre invita i Paesi ad arrestare la deforestazione e il degrado delle foreste entro il 2030, riconoscendo l’importanza del ruolo degli ecosistemi per il benessere umano e nello stoccaggio dei gas serra, in linea con quanto stabilito dall’accordo di Montreal della Convezione sulla diversità biologica lo scorso anno.

Male, infine, che dopo due settimane di discussioni non si sia trovato nessun accordo sul mercato del carbonio. La Cop 28 ha infatti rinviato tutte le decisioni alla Cop 29 di Baku, in Azerbaigian, sia per quanto riguarda la cooperazione bilaterale sui crediti di carbonio sia per quanto riguarda la costituzione di un meccanismo globale di scambio dei crediti di carbonio. Allo stato dell’arte la Cop 28 dà il via a un “offseting” (attività volta a compensare l’emissione di anidride carbonica) senza regole che potrebbe portare a una maggiore deforestazione e allo sfruttamento dei suoli soprattutto nei Paesi poveri.

Tuttavia, per quanto imperfetto, il testo negoziato a Dubai può comunque vantare un certo peso politico. Adesso organizzazioni e società civile hanno un’arma in più per obbligare i 198 Stati che hanno firmato l’accordo ad accelerare nell’immediato le politiche di transizione, ricordando che anche in sede Onu è stata finalmente riconosciuta la stretta connessione che intercorre tra riscaldamento globale, emissioni gas serra e combustibili fossili. Per centrare l’Accordo di Parigi non c’è dunque soluzione alternativa al dismettere carbone, gas e petrolio nei prossimi anni.

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4 risposte

  1. 29 Febbraio 2024

    […] la Cop 28 di Dubai si è deciso di triplicare la capacità di energia rinnovabile e l’efficienza energetica globale entro la fine del decennio. Si tratta di un impegno […]

  2. 18 Aprile 2024

    […] Dall’Accordo di Parigi del 2015 quasi tutti i Paesi hanno ridotto la capacità delle centrali elettriche a carbone. Su questo combustibile fossile, il più impattante sul clima, tutto sembrava procedere nella giusta direzione, anche se in maniera lenta, almeno fino allo scorso anno. […]

  3. 21 Giugno 2024

    […] in Africa” che dà spazio all’energia pulita. Per il resto il summit ha ricalcato gli impegni presi nel corso della COP 28 di Dubai, tra cui triplicare la capacità rinnovabile globale e duplicare il tasso medio annuo globale di […]

  4. 21 Giugno 2024

    […] in Africa” che dà spazio all’energia pulita. Per il resto il summit ha ricalcato gli impegni presi nel corso della COP 28 di Dubai, tra cui triplicare la capacità rinnovabile globale e duplicare il tasso medio annuo globale di […]

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