Italia e Goal 6: più del 42% dell’acqua non arriva nelle case

Goal 6 Agenda 2030 Italia

 

Di seguito un approfondimento sull’Italia e il Goal 6 dell’Agenda 2030 (tratto dal Rapporto ASviS 2024)

 

Circa la metà degli abitanti del pianeta vive in situazioni di scarsità d’acqua per almeno una parte dell’anno. Due miliardi di persone vivono ancora senza accesso all’acqua potabile, tre miliardi non possiedono servizi igienici gestiti in modo sicuro, mentre 1,4 miliardi sono privi di servizi igienici di base. Il mondo è in ritardo sull’attuazione del Goal 6 dell’Agenda 2030 che intende garantire, a ogni individuo, la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.

Sul Goal 6 anche l’Italia è in difficoltà. Dal Rapporto ASviS 2024 emerge un Paese che non riesce a risolvere una serie di problemi, come la dispersione delle reti idriche, che ci portiamo dietro da diverso tempo.

La situazione italiana

 Dal 2012 al 2022 l’Italia registra un andamento negativo per quanto riguarda la gestione sostenibile delle proprie acque. La causa principale è la dispersione idrica, aumentata dal 2012 a 2022 del 5%. In media, più del 42% dell’acqua che immettiamo nelle tubature italiane non arriva nelle nostre case. Si tratta di uno spreco enorme, ancor più grave in un periodo in cui la crisi climatica limita sempre più le risorse a disposizione, caratterizzato da differenze tra Nord e Mezzogiorno.

Appare dunque chiaro che senza cambiamenti significativi nelle politiche non riusciremo a raggiungere il Target 6.4 dell’Agenda 2030, il quale prevede di portare la dispersione idrica al 35,2% entro il 2026.

Per quanto riguarda la quota di famiglie che non si fidano di bere l’acqua dal rubinetto, essa risulta pressoché stabile: nel 2015 era al 30%, nel 2022 scende di poco al 29,4%.

In termini di novità emerse nel corso dell’ultimo anno, il Rapporto ASviS ricorda l’entrata in vigore del Regolamento europeo sul ripristino della natura che presenta una serie di obiettivi che dovranno essere condivisi con la Strategia nazionale per la biodiversità.

In Parlamento è poi in discussione il Disegno di legge (A.S. 948) che modifica la Legge 6 dicembre 1991 (n.394) relativa alle aree protette. Il Disegno prevede la predisposizione di nuove misure in linea con le modifiche all’art.9 della Costituzione e i Rapporti sul capitale naturale. L’ASviS, invitata in audizione il 7 luglio 2024, ha ravvisato la necessità di rivedere il testo integrando la normativa nazionale sulla gestione delle aree protette e la normativa europea per il ripristino della natura, allo scopo di perseguire una gestione integrata del capitale naturale, aumentando così l’efficacia concreta delle azioni orientate a uno sviluppo economico “positivo per la natura” (come indicato anche nei recenti atti del G7 a Presidenza italiana).

Proposte (pag 180-182) 

Mettere la protezione e il ripristino della natura al centro delle politiche, rispettare gli accordi internazionali, assicurare la tutela e la gestione sostenibile degli ecosistemi.

Definire un piano integrato per la protezione e il ripristino della natura in grado di superare la logica emergenziale di risposta agli effetti climatico-ambientali, definendo le singole azioni come una “grande opera pubblica di conservazione e ripristino”.

Assicurare la tutela e la gestione sostenibile degli ecosistemi nel rispetto del nuovo art. 9 della costituzione: ogni atto di pianificazione urbanistica e di trasformazione d’uso del suolo dovrà essere valutato alla luce della gerarchia inclusa nella Strategia europea per il suolo.

Considerare il principio europeo del “Dnsh” (Do no significant harm) nell’uso irriguo, industriale e civile dell’acqua, e integrare nei costi finali quelli ambientali, come previsto dalla Direttiva quadro sulle Acque e in applicazione del Decreto ministeriale 24 febbraio 2015, n. 39.

Assicurare il rispetto del principio “chi inquina/usa paga” e l’internalizzazione del costo ambientale nella determinazione dei canoni di utenza dell’acqua pubblica, in coerenza con i principi generali di recente approvati a livello nazionale.

Necessario migliorare l’attuazione regionale di politiche di water pricing che incentivino l’uso efficiente della risorsa idrica, valorizzando gli sforzi compiuti negli anni per migliorare la contabilità idrica nei vari settori di impiego, compreso quello irriguo.

Creare tavoli di lavoro integrati con la partecipazione del sistema bancario-finanziario, del sistema produttivo e della comunità scientifica al fine di delineare meglio le strategie da perseguire e definire indicatori finanziari connessi alla tutela del capitale naturale e della biodiversità.

Impostare una concreta valutazione ex ante ed ex post delle politiche pubbliche nell’ottica del capitale naturale, anche attraverso l’uso dei dati forniti dal Sistema di contabilità economico-ambientale (Seea).

E in Europa?

Tra il 2010 e il 2020 non è cambiato molto in Europa, la gestione delle acque continua a essere lontana dalla sostenibilità. In particolare, nell’Ue aumenta leggermente la quota di persone la cui abitazione è collegata ad almeno un trattamento secondario delle acque reflue (+4,6%) e diminuisce quella di persone senza servizi igienico-sanitari nella propria casa (-1,4%), cifra che però resta ancora significativa, e pari, nel 2020, all’1,5%, corrispondente a 6,7 milioni di persone.

Nel corso del tempo, le differenze tra i Paesi si sono andate via via riducendo, soprattutto grazie al miglioramento di quelli che presentavano situazioni più critiche, mentre quelli che registravano valori al di sopra della media europea mostrano una sostanziale stabilità. Particolarmente positive sono state le performance di Romania e Cipro, anche se i due Paesi e Malta si discostano ancora dal dato medio europeo. L’Italia presenta invece una sostanziale stabilità che la vede al di sotto della media europea in termini di performance sul Goal 6 dell’Agenda 2030.

 

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