L’attuale modello economico non è in grado di fronteggiare l’effetto delle crisi

Per perseguire gli obiettivi comunitari bisogna urgentemente accelerare il processo di transizione ecologica dando maggiore coerenza alle politiche pubbliche. È questa una delle principali indicazioni emerse nel corso dell’incontro “L’International system change compass nel contesto italiano. Realizzare il Green deal europeo: implicazioni globali e per l’Italia”, organizzato il 5 aprile presso il Cnel dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) e dal Club di Roma, seguito in diretta streaming da oltre 22mila persone.

Durante l’evento è stato presentato al pubblico italiano il Rapporto “International system change compass”, predisposto dal Club di Roma insieme a Systemiq e a Open society european policy institute e illustrato negli ultimi mesi in vari Paesi e alla Cop27 di Sharm el-Sheik, che propone un approccio olistico allo sviluppo sostenibile, per affrontare urgentemente gli impatti catastrofici derivanti dal sovrasfruttamento delle risorse e realizzare la transizione ecologica indispensabile per garantire all’umanità un benessere inclusivo e sostenibile.

Tra gli argomenti chiave dall’incontro – che rappresenta anche una tappa di avvicinamento alla settima edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2023, in programma dall’8 al 24 maggio in tutta Italia – è emerso che il Governo dovrebbe finalmente approvare una nuova Strategia nazionale di sviluppo sostenibile (Snsvs), anche per indirizzare gli investimenti pubblici previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), dai fondi di coesione e dai fondi nazionali verso scelte in grado di modificare l’attuale paradigma economico e di affrontare le molteplici crisi ambientali, economiche e sociali tra loro interconnesse.

Durante la giornata si sono confrontati sul tema Sandrine Dixson-Declève, Co-President Club di Roma, Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, Heather Grabbe, senior advisor Open society foundation, Caterina Sarfatti, director for Inclusive climate action C40 cities, Diva Tommei, chief Innovation and education Eit digital e presidente Fondazione Aurelio Peccei, Francesco Tufarelli, segretario generale del Cnel, ed Edoardo Zanchini, direttore ufficio Clima di Roma Capitale, con la moderazione di Giuliana Palmiotta, giornalista Rai.

“Sappiamo che la riduzione delle emissioni attraverso un efficientamento graduale dei sistemi di produzione e consumo non sarà sufficiente per affrontare la crisi climatica che è già in atto e rischia di andare fuori controllo – ha dichiarato in apertura Sandrine Dixson-Declève –. Piccoli cambiamenti all’interno dell’attuale sistema economico non risolveranno la crisi delle risorse, della biodiversità e non affronteranno le ingiustizie tra i Paesi e all’interno dei Paesi. Dobbiamo ripensare completamente il sistema attuale e crearne uno adatto alle sfide e alle opportunità del ventunesimo secolo. Al centro di questa trasformazione c’è la necessità di ridefinire le relazioni tra Europa e quei Paesi che storicamente hanno fornito le risorse che alimentano i nostri stili di vita, attualmente non sostenibili. Transizione energetica e Green deal europeo vogliono dire molto più che sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili: sono opportunità concrete per porre fine a un sistema che premia sproporzionatamente i ricchi a spese dei più poveri”.

Sandrine Dixson-Declève si è poi soffermata sulla situazione italiana: “Mentre in Europa molti Paesi procedono spediti verso l’energia pulita, puntando a sostituire la dipendenza dal gas russo con le rinnovabili, l’Italia sembra più interessata al gas. La logica che presuppone che continuando con l’attuale modello economico ci siano meno danni per l’economia e l’occupazione rispetto a un’azione decisa sul clima è discutibile. In realtà è proprio la continuazione di questa economia, estrattiva e basata sui combustibili fossili, che renderà la vita delle persone più difficile e più costosa, con le emissioni che continueranno ad aumentare e con gli impatti del cambiamento climatico sempre più visibili. Per non parlare dell’ipocrisia tutta europea di pensare di poter ridurre la dipendenza dai combustibili fossili a casa, spingendo un’economia estrattiva sui propri vicini. Il nostro Rapporto suggerisce un percorso per il Green deal europeo, per realizzare un futuro verde, giusto e resiliente. Qualche giorno fa l’Ipcc ha sottolineato, ancora una volta, il disperato bisogno di un’azione decisa per il clima, dicendo in modo chiaro che ogni frazione di grado di riscaldamento globale si traduce in un rischio più alto di eventi catastrofici, come ondate di calore anomale o alluvioni.  Oggi non è tanto la negazione del clima che sta fermando il cambiamento del sistema, ma la posizione di chi afferma che sono le soluzioni legate al business as usual le uniche in grado di far funzionare il mondo”.

Per Heather Grabbe, intervenuta successivamente, noi europei non possiamo ritenerci esenti da responsabilità sulla crisi climatica dato che “importiamo moltissime risorse. Le emissioni all’interno dell’Ue sono solo una piccola parte del totale delle emissioni perché altre sono causate da ciò che importiamo e vanno tenute in considerazione. Dobbiamo cambiare le nostre politiche di importazione, ma nel farlo dobbiamo anche tenere in considerazione cosa accadrà a quei Paesi in via di sviluppo con cui abbiamo rapporti commerciali, per capire come supportarli nel percorso di giusta transizione. Non possiamo infatti pensare all’Unione come un’isola verde se il resto del mondo è inquinato. All’atmosfera non importa da dove provengono le emissioni”.

Per la trasformazione del sistema economico importante sarà l’approvazione di un nuovo sistema di contabilità nazionale, come sottolineato da Grabbe: “Una proposta importante che emerge dal Rapporto è quella relativa alla metrica con cui valutiamo lo sviluppo di un Paese. L’Unione europea ha l’ambizione di trasformare il sistema di contabilità nazionale, ma per portare a compimento un lungo processo di trasformazione occorre guardare a lungo termine, per questo saranno importanti le elezioni europee del prossimo anno, che orienteranno le politiche dell’Unione. Vorrei infine aggiungere qualcosa sul contesto italiano. Dobbiamo pensare come l’economia verde può far funzionare un Paese, l’Italia, che ha molte specifiche già in possesso. Per esempio, le piccole e medie aziende familiari, l’artigianato, l’economia locale a chilometro zero, sono scuramente un’ottima base per cambiare l’attuale modello economico. Ma l’Italia è anche un Paese molto esposto al cambiamento climatico. Parecchie città storiche, importanti per l’identità italiana, sona a rischio, non hanno per esempio infrastrutture adatte a contenere le ondate di calore e le inondazioni. Dobbiamo pensare a politiche di lungo periodo, a politiche a prova di clima”.

Il tema della transizione verso un mondo sostenibile è un tema complesso, che richiede un approccio olistico delle politiche e una forte spinta trasformativa da parte della popolazione che, però, ha una concezione distorta della realtà, come ha sostenuto Enrico Giovannini nel suo intervento. “Secondo un sondaggio il 15% degli italiani pensa che la Terra sia piatta, il 18% pensa che alcune celebrità decedute sono ancora vive su un’isola, il 18% pensa che tra noi ci siano dei rettiliani, cioè degli alieni che sono incarnati in alcune figure politiche, mentre per il 29% degli italiani lo sbarco sulla Luna non è mai avvenuto. Di fronte a questi dati si potrebbe pensare che è inutile parlare di complessità, ma sappiamo bene che se la transizione ecologica non è sostenuta dal basso non ci sarà. Quindi siamo di fronte a un tema estremamente complesso ed è qui dove le istituzioni sono chiamate a fare un salto di qualità. Nel nostro Paese la situazione è ancora più complicata, secondo uno studio dell’Ocse, il 30% della popolazione è al livello ‘uno su cinque’ per capacità cognitive, negli altri Paesi dell’Ocse solo il 5% della popolazione è in queste condizioni. Tutto questo di cui discutiamo non può essere solo una cosa di tecnici o di addetti ai lavori, solo se la maggioranza della popolazione riterrà desiderabile questo cambiamento le politiche andranno in questa direzione”.

Giovannini ha poi parlato del nostro Paese e dell’Unione europea: “Per garantire il benessere presente e futuro dell’Italia il Governo deve prendere decisioni urgenti e coerenti, a partire dall’approvazione della nuova Strategia nazionale di sviluppo sostenibile evidenziando le ripercussioni positive che potrebbero derivare da una maggiore coerenza delle politiche economiche, ambientali e sociali necessarie al raggiungimento degli obiettivi del Green New Deal e dall’Agenda 2030 dell’Onu. La transizione ecologica è una straordinaria occasione per innovare le nostre filiere produttive, riqualificando e aumentando l’occupazione, generando consistenti benefici ambientali, economici e sociali. Si tratta di opportunità da cogliere intervenendo in primis sulla governance, in un’ottica di integrazione multilivello delle politiche e degli investimenti. L’Unione sul tema può fare sicuramente di più, ma non c’è dubbio che questa Europa sull’Agenda 2030 abbia fatto dei passi avanti. Vedo però una resistenza di alcuni Paesi nel contrastare e rinviare alcune decisioni. Prendiamo il caso della discussione sull’auto elettrica, che in realtà è una discussione distorta, dato che il regolamento approvato dice che bisogna produrre auto a emissioni zero dal 2035: questo lo vorrei sottolineare perché il regolamento approvato, dunque, non fa una particolare scelta tecnologica, anche se va detto che oggi l’auto elettrica è l’unica che soddisfa il requisito zero emissioni. Il nostro Paese ha la possibilità di fare il salto in avanti descritto dall’International system change compass, potendo anche contare sulla modifica costituzionale dello scorso anno fortemente voluta dall’ASviS. L’ASviS, inoltre, aveva ottenuto dal governo il cambio di nome del Cipe in Cipess: ogni investimento dovrebbe essere valutato ex ante rispetto ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile. Dobbiamo poi investire nella ricerca e nella tecnologia. Il Pnrr lo prevede. Dobbiamo indirizzare i fondi a quelle tecnologie che ci consentono di fare il salto versa un’economia sostenibile. I media nel processo di formazione hanno una responsabilità enorme, oltre alle scuole e alle università. Dobbiamo unire i puntini, per non dimenticare che tutto è connesso. È questo che proverà a far comprendere il prossimo Festival dello Sviluppo Sostenibile”.

Della crisi climatica e del ruolo delle città ne ha parlato Edoardo Zanchini: “Ci sono città che in Italia e in Europa stanno provando ad affrontare la sfida climatica, che non è solo ambientale e non riguarda solo i centri urbani, anche se questi saranno il cuore di questa sfida – ha detto Edoardo Zanchini -. Ma come riusciremo ad accelerare nei prossimi anni? Queste 100 città che si sono candidate a essere ‘climate neutral’ hanno raccolto una sfida importante. Davanti a una sfida così complessa, di immaginare la neutralità climatica al 2030, ti rendi conto di due cose: non ci sono più delle ‘scuse tecniche’, delle ragioni tecnologiche per cui non si può arrivare a emissioni zero. Il tema è un altro, il tempo: come riusciamo ad accelerare? L’altro tema è come coinvolgere i cittadini e come far capire la situazione alle imprese. Qualsiasi piano fatto da un governo locale incide su ciò che può controllare direttamente. Abbiamo dunque bisogno di coinvolgere tutta la società. Se vogliamo vincere questa sfida dobbiamo essere tutti coinvolti. Ho notato che tutte le istituzioni hanno già un piano di decarbonizzazione. Dobbiamo far capire che c’è chi si è già messo in moto e ha obiettivi più ambiziosi, per mettere in moto un circolo virtuoso”.

Diva Tommei ha ricordato che le conseguenze legate al sovrasfruttamento delle risorse sono note da tempo, da almeno 50 anni: “Con il Rapporto al Club di Roma sui limiti alla crescita del 1972 per la prima volta si è adottato un approccio olistico, si è capito che i sistemi sulla Terra sono interconnessi. La conclusione principale dello studio era chiara: la crescita economica avrebbe presto sorpassato i limiti planetari che assicurano la vita su questo Pianeta. Per riequilibrare il nostro rapporto con la natura lo sforzo supremo deve essere compiuto dalla nostra generazione, non possiamo delegare tutto alle generazioni future. Prima i policy makers e la società civile non facevano parte del discorso, lo studio era rivolto principalmente agli esperti, ma adesso non possiamo tenerli fuori dal processo di transizione. In questo, il Green deal europeo è uno strumento fondamentale, ma non dobbiamo commettere l’errore di guardare alle crisi solo attraverso la lente europea. Non possiamo infatti fare a meno della dimensione internazionale per integrare i livelli di governance che devono assicurare una giusta transizione. Se non vinciamo tutti, non vince nessuno. Dobbiamo ridefinire cosa intendiamo per tecnologia, quali sono i suoi scopi, per ridefinire anche cosa intendiamo per progresso. La crisi climatica è anche una questione educativa e dell’informazione. Non possiamo raggiungere una transizione giusta se la politica e la società non sono allineati sugli stessi valori. Questa è anche una crisi di comunicazione intergenerazionale. Le giovani generazioni hanno capito la gravità della situazione e chiedono azioni, le istituzioni devono tenere conto di questa cosa. La complessità richiede educazione per essere compresa e elaborata. Possiamo e dobbiamo costruire società che rispettano i limiti planetari e per farlo occorre coinvolgere i giovani, sono loro gli agenti del cambiamento”.

Infine, Francesco Tufarelli ha ricordato che non possiamo permetterci dei fallimenti sul Pnrr: “Nel Piano ci sono tutte le nostre priorità. La reazione che l’Unione ha avuto a una prima crisi, nel 2010, non era stata brillante. Adesso invece è stata diversa. Ora dobbiamo sfruttare questa occasione. Il Pnrr deve essere un fattore di accelerazione su temi come la transizione energetica e digitale, che erano già parte della programmazione del Paese di qualche anno fa. Personalmente sono contento di avere scritto due progetti che sono entrati nel Pnrr. Non danno un’aggiunta enorme dal punto di vista quantitativo, ma sono delle buone pratiche riproducibili. Il coinvolgimento dei giovani e della società civile è un altro punto importante per portare a compimento il Pnrr e il Cnel è il bacino ideale per farlo”.

 

Articolo pubblicato su asvis.it

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