Davos: “servono nuove politiche su economia, clima e IA”

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Il cambiamento climatico entro il 2050 costerà la vita a 14,5 milioni di persone provocando perdite economiche pari ad almeno 12,5 migliaia di miliardi di dollari. Sono i numeri che emergono dal rapporto lanciato il 16 gennaio durante l’appuntamento annuale di Davos del World economic forum (Wef), a conferma dell’analisi contenuta nel Global risk report 2024 che indentifica nella questione ambientale la minaccia più urgente da affrontare, in questa decade e oltre.

Questo studio, dal titolo “Quantifying the impact of climate change on human health”, rappresenta un ulteriore step per capire come la crisi climatica rimodellerà il panorama sanitario globale nei prossimi due decenni. Per esempio, gli effetti sulla salute legati all’aumento degli agenti patogeni, dell’inquinamento e degli eventi estremi contribuiranno in modo massiccio ad allargare la già ampia forbice delle disuguaglianze sanitarie e sociali, con un impatto sproporzionato sulle popolazioni più vulnerabili.

Per affrontare e mitigare queste nuove sfide climatiche, si legge nello studio, “saranno necessari una trasformazione globale del sistema sanitario e sforzi di collaborazione globale tra più gruppi di stakeholder e settori”.

Inondazioni e siccità sono state individuate come le principali cause di mortalità legata al clima che cambia, mentre le ondate di calore sono la maggiore fonte di perdita economica. A temperature più elevate è poi inevitabile la maggiore diffusione di malattie sensibili al clima, come la malaria e la dengue. Per questo, ricorda il Wef, “è urgente attuare strategie globali di riduzione delle emissioni e di adattamento delle infrastrutture sanitarie per trasformare i sistemi sanitari in risposta a questa crisi crescente”.

Altro messaggio lanciato da Davos è a opera di Oxfam. L’organizzazione ricorda che ridurre le disuguaglianze è oggi più che mai un imperativo da seguire. Secondo l’Inequality Inc (del 15 gennaio) i cinque maggiori miliardari del pianeta hanno raddoppiato la loro ricchezza, mentre cinque miliardi di persone, ovvero il 60% della popolazione mondiale, si sono impoverite. In generale, i miliardari sono più ricchi di 3,3 migliaia di miliardi di dollari rispetto al 2020 e ai ritmi attuali ci vorranno almeno 230 anni per porre fine alla povertà nel mondo. “Non possiamo proseguire con questo livello di disuguaglianze osceno”, ha commentato il direttore ad interim di Oxfam International, Amitabh Behar.

Ci dobbiamo poi attendere problemi anche sulla crescita economica, via via meno robusta. Il Wef nel suo “The future of growth report 2024” ha infatti stimato che il tasso di crescita globale entro il 2030 sarà il più basso registrato negli ultimi tre decenni. Questo soprattutto a causa delle crisi economiche indotte da un assetto geopolitico in subbuglio, meno stabile di un tempo. Dopo la presentazione dello studio del 15 gennaio, il Wef ha dichiarato che l’attuale recessione sta esacerbando una serie di sfide globali interconnesse, tra cui la crisi climatica e quelle di carattere sociale. Lo studio ha dunque consigliato ai decisori politici l’adozione di un nuovo approccio nei confronti della crescita economica capace di bilanciare la sostenibilità di lungo periodo e le misure di equità. Analizzando la qualità della crescita in 107 economie, il Wef ha rilevato che la maggior parte dei Paesi continua a crescere in modi che non sono né sostenibili né inclusivi, e sono limitati nella loro capacità di assorbire o generare innovazione e di ridurre al minimo il loro contributo e la loro suscettibilità alle “scosse globali”. Nello specifico, le economie ad alto reddito riescono a ottenere migliori performance su innovazione e inclusione, mentre quelle a basso reddito sembrano avere migliori risultati in termini di sviluppo sostenibile. “Riaccendere la crescita globale sarà essenziale per affrontare le sfide chiave, tuttavia, la crescita da sola non è sufficiente”, ha dichiarato Saadia Zahidi, Direttrice generale del Wef, che ha proseguito: “La novità del rapporto è quella di proporre un nuovo modello per valutare la crescita economica, che bilancia l’efficienza con la sostenibilità a lungo termine, la resilienza e l’equità, oltre all’innovazione per il futuro, allineandosi con le priorità globali e nazionali”.

Ma nella cittadina svizzera si è parlato tanto anche di intelligenza artificiale (IA). Sam Altman, il fondatore e amministratore delegato di OpenAI, la società che ha dato vita a ChatGPT, nel suo intervento a un panel sul tema ha spiegato che “i vantaggi derivanti dall’uso dell’Ai sono enormi, ma è giusto aver paura dell’IA. Tutto il nervosismo sull’evoluzione di questo settore è giustificato, poiché nessuno è in grado di assicurare che venga utilizzata soltanto per scopi benefici. Ne sono un esempio l’aiuto che può fornire nella fase di prevenzione dei tumori e nell’individuazione più rapida degli incendi. Come in tutte le rivoluzioni ci vuole un atto di fede, bisogna immettere la tecnologia nella società e vedere come evolvono insieme”. Nel frattempo, ha infine dichiarato Altman, le istituzioni devono avviare attività di regolamentazione ad hoc per non farsi trovare impreparate a questa rivoluzione digitale.

 

articolo pubblicato su Futuranetwork.eu

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