Dopo la Cop 28: all’Italia serve subito una Legge sul clima
Per quanto controverso e imperfetto il testo negoziato a Dubai durante la Cop 28 – ne ho parlato in maniera approfondita qui – può vantare comunque un certo peso politico. Adesso organizzazioni e società civile hanno un’arma in più per obbligare i 198 Stati che hanno firmato l’accordo ad accelerare nell’immediato le politiche di transizione, ricordando che anche in sede Onu è stata finalmente riconosciuta la stretta connessione che intercorre tra riscaldamento globale, emissioni gas serra e combustibili fossili. Per centrare l’Accordo di Parigi non c’è dunque soluzione alternativa che dismettere carbone, gas e petrolio nei prossimi anni.
Per attuare il processo di conversione ecologica ed energetica, l’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) nel suo Rapporto 2023 “L’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile” sottolinea, per esempio, che è ancora possibile centrare gli obiettivi climatici europei al 2030 (-55% di emissioni rispetto al 1990) e al 2050 (neutralità carbonica).
Per rendere il Paese all’avanguardia nella lotta alla crisi climatica occorre però rivedere i Piani per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, il Pniec e il Pnacc. La bozza di Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima), per esempio, inviata alla Commissione europea a giugno rivela diverse criticità, che richiedono urgenti correzioni. Gli obiettivi sulle energie rinnovabili per il 2030 sono inferiori rispetto ai suggerimenti di esperti e operatori del settore, e mostrano una mancanza di enfasi sul ruolo delle comunità energetiche. Mancano poi indicazioni chiare riguardo all’uso dell’elettricità rinnovabile derivante da idrogeno verde, e non contiene misure trasparenti riguardo all’abbattimento delle emissioni gas serra, allo stop dei veicoli inquinanti, e tratta il tema della “giusta transizione” in modo superficiale (come si intende attuarla?). Bene la chiusura confermata al 2025 delle centrali al carbone anche se non vengono indicate alternative basate sulle fonti rinnovabili. In sostanza, il Pniec necessita di miglioramenti significativi per diventare uno strumento efficace nel guidare l’Italia verso la decarbonizzazione. Il Pnacc, invece, va approvato il prima possibile e va soprattutto finanziato dato che, al momento, non sono previste risorse dedicate a questo importante Piano di adattamento alla crisi climatica.
Affinché l’Italia guidi la transizione energetica ed ecologica è vitale poi dotarsi di una Legge per il clima, come fatto da altri gradi Paesi europei, delineando obiettivi e una governance efficace e coinvolgendo attivamente soggetti economici e sociali nella definizione delle politiche climatiche. Esistono attualmente diverse proposte divergenti riguardo ai contenuti e all’approccio al problema. Di conseguenza, è cruciale che il Governo dia un immediato sostegno all’idea di una legge sul clima. Questo consentirebbe al Parlamento di agire nei prossimi mesi, portando all’approvazione entro maggio 2024, prima delle elezioni europee e amministrative. La Legge dovrebbe includere: obiettivi di neutralità climatica entro il 2050, con traguardi intermedi e budget settoriali per eliminare le emissioni di gas serra; una governance istituzionale definita attraverso il coinvolgimento del Governo, del Parlamento e delle Regioni, in modo da allinearsi alla nuova struttura costituzionale dopo la modifica degli articoli 9 e 41; la costituzione di un Consiglio scientifico per il clima, per assistere i decisori e valutare l’allineamento tra obiettivi e risultati.
L’Italia deve trovare anche nuove modalità di coinvolgimento attivo di soggetti economici e sociali per la definizione e la realizzazione delle politiche climatiche e deve dotarsi di un programma temporale per eliminare i sussidi dannosi all’ambiente (Sad), legati ai combustibili fossili. Secondo il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica al momento sono presenti all’interno del bilancio dello Stato circa 22,4 miliardi di euro di Sad. I soldi provenienti sia dalla riconversione dei Sad, sia da una nuova fiscalità ecologica attenta alla tutela del capitale naturale che premi le imprese virtuose, potrebbero essere utilizzati per finanziare l’innovazione tecnologica “low carbon” e per ridurre le disuguaglianze economiche e sociali fortemente presenti nel Paese.
Il progressivo contrasto ai cambiamenti climatici aumenterà la domanda di energia elettrica, poiché l’elettricità offre rendimenti superiori e può essere prodotta senza generare emissioni di CO2. Tuttavia, la decisione di prolungare l’uso predominante del gas naturale nella produzione elettrica rischia di portate l’Italia fuori dalla rotta stabilita dalle direttive dell’Unione europea e dagli accordi internazionali. Una scelta ancor più azzardata considerando i prezzi elevati e instabili del gas. Anche per questo motivo occorre favorire lo sviluppo del sistema industriale italiano delle rinnovabili, il quale si dice pronto a superare il raddoppio delle Fer (Fonti energetiche rinnovabili elettriche) entro il 2030 al ritmo annuale di 8-10 GW (GigaWatt) all’anno. Grazie a un uso intelligente dei fondi del Pnrr, il nostro Paese ha l’opportunità di costruire una politica industriale basata sulla fabbricazione di tecnologie centrali al processo di transizione, come pannelli solari e batterie.
La rete elettrica futura sarà notevolmente diversa dall’attuale. Sarà infatti basata sulle fonti rinnovabili, sull’autoconsumo, sull’accumulo dell’energia e sull’efficienza energetica programmata supportata da tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale. Le comunità energetiche rinnovabili, concepite in un’ottica solidaristica offrono un’opportunità democratica e partecipativa per affrontare nuove e vecchie forme di disuguaglianze, come la povertà energetica.
Infine, a parere di chi scrive, sulla base di quanto chiesto dalla comunità scientifica e visto l’impegno firmato dall’Italia a Dubai, sarebbe opportuno anche rivedere la strategia dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni) che, secondo lo studio “Gogel” (Global oil & gas exit list), pubblicato il 15 novembre per lanciare un segnale nella direzione di Dubai sulle compagnie “oil&gas”, ha pianificato l’esplorazione o lo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas in 40 Paesi del mondo. Lo Stato detiene la maggioranza delle azioni dell’azienda tramite il Ministero dell’economia e delle finanze e di Cassa depositi e prestiti (che possiedono rispettivamente il 4,411% e il 26,213% delle azioni). Una situazione che rende la società una controllata dello Stato che, dunque, ha il potere di indirizzare l’azienda sulla via della decarbonizzazione.
Una risposta
[…] e il ripristino della natura diventino centrali nelle decisioni politiche, anche attraverso il varo di una Legge sul Clima in grado di incentivare la diffusione delle energie rinnovabili e l’abbandono dal settore dei […]