Dal reale al virtuale: le aziende fossili puntano sugli esports
Gazprom, leader nell’estrazione del gas, è stata per anni il principale sponsor della Uefa Champions League, la competizione di calcio più prestigiosa nel panorama europeo. Una partnership multimilionaria terminata con lo scoppio della guerra in Ucraina poiché Gazprom è una società controllata direttamente dal Cremlino. Quest’anno, dopo 25 anni di rapporti tra calcio e Tim, l’assemblea di Lega della Serie A, il massimo campionato calcistico del nostro Paese, ha dato il via libera per il cambio del “main sponsor” in favore dell’Eni. Il colosso dell’oil & gas di Stato, con 22 milioni di euro all’anno, si è così assicurato – per almeno i prossimi tre anni – la visibilità del campionato italiano. Una “doppietta” – come si direbbe in gergo calcistico – niente male, se consideriamo il fatto che l’Eni è anche lo sponsor principale della nazionale italiana di calcio.
Ma la fame di visibilità delle aziende petrolifere non si ferma al livello tangibile. La ricerca “e-Sportswashing – How big polluters are gaming a new sport sponsorship market” condotta da Badvertising ha infatti dimostrato che alcuni dei principali inquinatori, tra cui rientrano di diritto le compagnie petrolifere, stanno sfruttando sempre di più il settore degli sport elettronici – esports – per veicolare le loro pubblicità e ripulire la propria immagine. Lo studio ha infatti evidenziato che sponsorizzare gli eventi sportivi, anche quelli elettronici, genera maggiori risultati nelle attività promozionali legate ai social.
Esports e combustibili fossili
Gli esports, ossia le competizioni di videogiochi, attraggono milioni di spettatori in tutto il mondo con titoli come League of legends e Fortnite. Secondo il gruppo di attivisti di Badvertising, dal 2017 sono stati individuati almeno 33 importanti accordi tra aziende ad alta intensità di carbonio e industria degli esport. Oltre a documentare i contratti in essere con le compagnie dei combustibili fossili, la ricerca ha rivelato che le collaborazioni coinvolgono anche diverse case automobilistiche, compagnie aeree, petro-Stati e persino l’esercito degli Stati uniti.
“La nostra ricerca dimostra che le aziende inquinanti che affrontano la crescente pressione per abbandonare i combustibili fossili stanno raddoppiando la sponsorizzazione degli esport al fine di preservare la propria influenza”, ha affermato dalle colonne del Guardian Andrew Simms, co-fondatore di Badvertising.
Il 24 agosto in Arabia saudita si è conclusa la prima coppa del mondo di esport, inoltre lo stesso Paese ospiterà le prime olimpiadi degli sport elettronici il prossimo anno. Eventi del genere, sottolinea lo studio, servono proprio per “migliorare l’immagine di chi inquina. Le aziende responsabili della crisi climatica hanno infatti da tempo utilizzato la sponsorizzazione di eventi sportivi per ripulire la loro immagine, e ora stanno rivolgendosi al settore degli esport, che conta circa mezzo miliardo di spettatori, con una forte presa sui giovani”.
Ne è un esempio il sodalizio tra Shell e Fornite, uno dei giochi più popolari sul Pianeta, che ha generato critiche per la sua spinta campagna pubblicitaria: su un’isola completamente brandizzata dalla Shell veniva promossa la nuova benzina V-power della società petrolifera. Badvertising fa notare che Il pubblico di Fortnite è parecchio giovane rispetto ad altri popolari giochi di esport, circa il 53% dei giocatori ha infatti un’età compresa tra 10 e 25 anni.
L’Arabia saudita ha invece istituito la Saudi esports federation con il supporto della compagnia petrolifera nazionale Aramco, mentre Quatar airwaves sponsorizza pesantemente la società calcistica del Paris saint-germain, ed ExxonMobil – in Italia conosciuta come Esso – ha stretto una partnership con l’organizzazione di esport gen per iscrivere una serie di suoi team alla competizione del gioco Rocket league che si è tenuta in tutto il nord America.
Diverse sono le accuse di “sportwashing” avanzate nei confronti di queste società dagli attivisti nel corso degli ultimi anni. Sul tema il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ha però dichiarato di non essere preoccupato, soprattutto perché si tratta di attività di sponsorizzazione che servono anche per far crescere il Pil.
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