Risorse naturali: la quantità estratta è triplicata negli ultimi 50 anni

estrazione risorse naturali

 

L’estrazione delle risorse naturali della Terra è triplicata negli ultimi cinquant’anni e si prevede che questa aumenterà del 60% entro il 2060. Si tratta di una cifra che renderebbe vano qualsiasi sforzo messo in campo per raggiungere gli obiettivi climatici, quelli legati al ripristino della biodiversità e alla lotta all’inquinamento. Il ritmo attuale, sostenuto soprattutto dal consumo nelle aree economiche più avanzate, minaccia inoltre la prosperità economica a il benessere dell’intera umanità.

Queste sono alcune delle stime contenute nell’ultimo Global resources outlook sviluppato dall’International resource panel e pubblicato dal Programma ambientale delle Nazioni unite (Unep), in occasione dell’assemblea delle Nazioni unite per l’ambiente del primo marzo.

“Per troppo tempo le nostre economie sono state costruite sull’estrazione, sull’uso e sullo scarico incessante e insensato delle risorse – ha dichiarato Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep -. L’uso di materiali e risorse è aumentato di oltre tre volte negli ultimi 50 anni e continua a crescere in media del 2,3% ogni anno. Il nostro uso dispendioso di questi materiali distrugge la natura, riscalda il clima, inquina gli ecosistemi, alimenta le disuguaglianze e, francamente, scarica i soldi direttamente nel Wc”.

 

La crescita spaventosa dell’uso delle risorse naturali

Secondo lo studio la crescita dell’uso delle risorse è passata dalle 30 miliardi di tonnellate del 1970 alle 106 miliardi di oggi. Una cifra che a livello pro-capite passa da 23 chilogrammi ai 39 chilogrammi di materiali utilizzati in media per ogni persona, ogni giorno. Nel complesso, l’estrazione e la lavorazione delle risorse rappresentano oltre il 60% delle emissioni climalteranti e il 40% dell’inquinamento atmosferico che minaccia la salute delle persone.

Inoltre, l’estrazione e la lavorazione della biomassa, tra cui le colture agricole e la silvicoltura, rappresenta un terzo delle emissioni gas serra, e il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico fatto registrare nei territori analizzati. L’estrazione e la lavorazione dei combustibili fossili e di altre risorse come metalli e sabbiaghiaia e argilla, è invece responsabile del 35% delle emissioni globali.

Il rapporto mette in evidenza anche le enormi disparità che esistono su questo argomento. Per fare un esempio, i Paesi a basso reddito rispetto a quelli ricchi consumano sei volte in meno e generano 10 volte meno gli impatti climatici. Nel corso degli ultimi 50 anni i Paesi a reddito medio-alto hanno più che raddoppiato l’utilizzo delle risorse, mentre l’utilizzo pro-capite delle risorse nei Paesi poveri è rimasto invariato dal 1995.

 

Le soluzioni proposte dal Global resource outlook

In termini di soluzioni, il rapporto sottolinea che è possibile, e redditizio, dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse naturali e dagli impatti ambientali che causano. Per farlo occorre sostituire il modello di crescita lineare con modelli sostenibili e circolari: sistemi che mantengano i materiali una volta estratti in uso il più a lungo possibile, e che ripensino il modo in cui progettiamo e forniamo beni e servizi. Sono dunque necessari circolarità e modalità più sostenibili e rispettose delle risorse per fornire i servizi di base, tra gli altri, nei settori dell’edilizia abitativa, del cibo e della mobilità.

Se questo venisse fatto nei Paesi dove oggi i consumi sono molto elevati, la crescita dell’uso dei materiali potrebbe diminuire del 30%, il che aiuterebbe a garantire abbastanza minerali e metalli per la transizione energetica senza devastare il Pianeta. Inoltre le emissioni di gas serra potrebbero essere ridotte di oltre l’80%, e si potrebbe beneficiare della crescita di almeno il 3% del Pil globale. Di questo passo diminuirebbe anche l’uso di materiali nei trasporti e nell’edilizia, rispettivamente del 50% e del 25%, e l’uso del territorio per l’agricoltura del 5%. Allo stesso tempo, la produzione alimentare aumenterebbe del 40%, in modo da sostenere le popolazioni dove è a rischio la sicurezza alimentare, e l’indice di sviluppo umano migliorerebbe del 7%, aumentando i redditi e benessere.

Laddove è necessario che l’uso delle risorse cresca, lo studio sottolinea che è possibile mettere in atto strategie per massimizzare il valore di ciascuna unità di risorsa utilizzata, soddisfando così i bisogni umani in maniera sostenibile. Un mondo più giusto in cui vige una distribuzione delle risorse più equa, di tutte le forme di ricchezza, è dunque possibile.

“La tripla crisi planetaria del cambiamento climatico, della perdita della natura e dell’inquinamento è causata da una crisi di consumo e produzione insostenibili. Dobbiamo lavorare con la natura, invece di limitarci a sfruttarla – ha poi detto Andersen -. Ridurre l’intensità delle risorse naturali legate alla mobilità, agli alloggi, ai sistemi alimentari ed energetici è l’unico modo per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e, in definitiva, un pianeta giusto e vivibile per tutti”.

Andando nello specifico, per invertire la tendenza e cambiare il settore economico il rapporto chiede di incorporare le esternalità negative nei grandi accordi commerciali, di rafforzare la regolamentazione dei mercati finanziari delle materie prime, e di attuare politiche di aggiustamento delle frontiere legate all’impatto di determinate produzioni. Infine andrebbe creata una nuova governance delle risorse e indirizzata la finanza verso un uso sostenibile delle risorse; andrebbero garantite le giuste informazioni ai consumatori; andrebbe reso il commercio un motore per l’uso sostenibile delle risorse; andrebbero create soluzioni circolari, efficienti in termini di risorse e a basso impatto e modelli di business che includano rifiuti, riduzione, eco-progettazione, riutilizzo, riparazione e riciclaggio. Tutt’una serie di politiche da portate avanti attraverso una forte attività di cooperazione tra Paesi.

 

articolo pubblicato su asvis.it

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