Living planet report: in 50 anni persi i due terzi della fauna selvatica mondiale

La biodiversità è sempre più in pericolo, a ribadirlo è il nuovo studio pubblicato il 10 settembre dal Wwf. Secondo il “Living planet report 2020”, circa i due terzi della popolazione globale di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci hanno subito perdite nel corso degli ultimi 50 anni. Infatti, il calo medio ha interessato il 68% della fauna selvatica planetaria, minacciata dalla continua distruzione ambientale per via della pressione esercitata dall’attività umana sugli ecosistemi; si tratta della stessa matrice responsabile della comparsa di nuove zoonosi, come il virus Sars-Cov 2 capace di generare nell’uomo la malattia Covid-19, vista dal Wwf come un vero e proprio “segnale che la natura sta mandando alla società umana, e che mette in luce la necessità di vivere in uno spazio operativo sicuro (sos)”.

Il Rapporto fornisce, attraverso il “Living planet index” (Lpi) costruito dalla Zoological society of London (Zsl), una chiara istantanea sullo stato del mondo naturale e sui fattori che contribuiscono al depauperamento degli ecosistemi. Fattori come il cambio di uso del suolo e il commercio, spesso illecito, di fauna selvatica, che hanno inciso particolarmente sul declino di specie di vertebrati globali (appunto mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci) tra il 1970 e il 2016.

In generale, sono il Sud America e l’Africa a registrare un Lpi maggiore, che segnala rispettivamente un declino pari al 94% e al 65%. Seguono Asia meridionale con un Lpi del 45%, America del nord con un Lpi del 33% ed Europa e Asia centrale con un identico Lpi a quota 24%. Se da una parte il dato europeo potrebbe, però, far pensare a una gestione migliore della biodiversità comunitaria, va comunque ricordato che l’impronta globale dell’Ue, per via delle importazioni, cresce sempre di più: dopo la Cina, l’Europa è il secondo mercato al mondo per le materie prime a rischio forestale, come la soia e la carne bovina. Come ricorda Ester Asin, direttore dell’ufficio politico europeo del Wwf: “Questi risultati sono devastanti, dimostrano che un Pianeta sano è una condizione preliminare per una società umana sana e che il Green deal europeo è più importante che mai. È necessaria un’azione urgente per arrestare e invertire la perdita naturale e affrontare il cambiamento climatico, sia all’interno dell’Ue sia a livello globale”.

Le recenti proposte della Commissione europea per la tutela della biodiversità in Europa sono state accolte favorevolmente dal Wwf, soprattutto se dovessero essere vincolanti, ma adesso servono misure rigide sui prodotti legati alla distruzione ambientale all’estero. “Le strategie dell’Ue per la biodiversità recentemente proposte sono potenziali punti di svolta e devono ora essere inequivocabilmente approvate e attuate dagli Stati membri e dal Parlamento”, continua Ester Asin, “Ma non è abbastanza. È urgente e necessaria una nuova legge per mantenere i prodotti legati alla deforestazione fuori dal mercato dell’Ue”.

L’Lpi, che ha monitorato quasi 21mila popolazioni di oltre 4mila specie di vertebrati, mostra anche che le popolazioni di fauna selvatica che si trovano negli habitat di acqua dolce hanno subito un calo pari all’84%: il calo più netto registrato in qualsiasi altro tipo di bioma (ecosistemi dove comunità animali e vegetali hanno raggiunto una relativa stabilità in relazione alle condizioni ambientali).

Tra le specie in via di estinzione analizzate dal rapporto troviamo il gorilla della pianura orientale della Repubblica democratica del Congo, che ha visto calare il suo Lpi dell’87% tra il 1994 e il 2015, lo storione cinese che, nel fiume Yangtze in Cina ha registrato una produttività calata del 97% tra il 1982 e il 2015, e il pappagallo cenerino del Ghana che tra il 1992 e il 2014 ha subito un calo di popolazione a causa del commercio di uccelli selvatici e del consumo di suolo del 99%.

Lo studio del Wwf, inoltre, mostra che senza ulteriori sforzi per contrastare la perdita e il degrado degli habitat, la biodiversità globale continuerà a diminuire. Sarà possibile invertire questa tendenza negativa solo se verranno adottate drastiche misure orientate alla conservazione del capitale naturale e verranno apportati cambiamenti trasformativi al modo in cui produciamo e consumiamo cibo. Tra i cambiamenti necessari rientrano una produzione e un commercio alimentare più efficienti ed ecologicamente sostenibili, la riduzione degli sprechi, la promozione di diete più sane e rispettose dei vincoli ambientali.

“Nel mezzo di una pandemia è più importante che mai intraprendere un’azione globale coordinata e senza precedenti per arrestare e invertire la perdita di biodiversità e delle popolazioni di fauna selvatica in tutto il mondo, entro la fine del decennio, per proteggere la nostra salute futura e i mezzi di sussistenza”, fa presente Marco Lambertini, direttore generale di Wwf international, “Il Living planet report dimostra chiaramente come la crescente distruzione della natura da parte dell’umanità stia avendo impatti catastrofici non solo sulle popolazioni di fauna selvatica, ma anche sulla salute umana e su tutti gli aspetti della nostra vita”.

Il Living panet report è l’ultimo di una lunga serie di allarmi lanciati dagli scienziati sulla condizione in cui versa il nostro Pianeta. I dati del Programma ambientale delle Nazioni unite (Unep) ci dicono, per esempio, che le riserve di capitale naturale pro capite sono diminuite di quasi il 40% dai primi anni ’90.

Il Wwf non ha scelto a caso la data per il lancio di questo rapporto, siamo infatti alle porte della 75esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite. Tra circa una settimana i leader globali si incontreranno per esaminare i progressi compiuti nel mondo sui 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, sull’Accordo di Parigi e sulla Convenzione sulla diversità biologica. “Non possiamo più ignorare questi segnali. Il grave calo delle popolazioni di specie selvatiche ci indica che la natura si sta deteriorando e che il nostro Pianeta ci lancia segnali di allarme rosso sul funzionamento dei sistemi naturali da cui dipendiamo”, conclude Marco Lambertini.

 

Articolo pubblicato su asvis.it

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