Limiti planetari: con l’acidificazione degli oceani superati sette su nove

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La scienza è chiara: abbiamo una crisi planetaria alle porte. E abbiamo soluzioni per eliminare gradualmente i combustibili fossili, utilizzare in modo efficiente le risorse naturali e passare a un’alimentazione sana e sostenibile. Percorsi che ci renderanno tutti vincitori e vincitrici. La finestra verso un futuro climatico gestibile è ancora aperta, ma solo per un po’. Il fallimento non è inevitabile, è una scelta”. Così Johan Rockström, direttore del Potsdam institute for climate impact research, ha concluso il suo discorso rivolto ai capi di Stato nel corso dell’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il giorno dopo, il 25 settembre, in occasione dei dieci anni dell’Agenda 2030, il team di scienziate e scienziati specializzati nell’analisi del sistema Terra, di cui Rockström fa parte, ha pubblicato l’ultimo lavoro sui limiti planetari.

Il documento “Planetary health check 2025” fa il punto della situazione sui planetary boundaries, i nove confini da non superare per evitare effetti irreversibili, quindi disastrosi, per l’intera umanità. La buona notizia è che oggi conosciamo bene il funzionamento del nostro Pianeta, questo ci aiuta a individuare le soluzioni da utilizzare alle crisi in corso. La cattiva è che ora, con l’acidificazione degli oceani, sette soglie di sicurezza su nove sono state superate.

Oltre il limite dell’acidificazione degli oceani

In questa edizione del Rapporto, un’attenzione particolare è stata dedicata al ruolo cruciale dell’oceano nel sistema Terra. L’oceano, infatti, agisce come un potente regolatore climatico, assorbendo una quota significativa della CO₂ emessa dalle attività umane e contribuendo così ad attenuare gli effetti della crisi climatica. Tuttavia, anche questa funzione di “cuscinetto” ha dei limiti: l’aumento dell’acidità delle acque marine ne è la prova più evidente. Quando cresce la concentrazione di CO₂ nell’oceano si forma più acido carbonico, che riduce la disponibilità di carbonato – elemento essenziale per la crescita e la sopravvivenza di molti organismi marini – e abbassa il livello di pH dell’acqua. Secondo la ricerca, per la prima volta l’acidificazione ha superato la soglia di sicurezza: il pH medio della superficie oceanica è diminuito di circa 0,1 unità rispetto al periodo preindustriale, un cambiamento che corrisponde a un incremento del 30%-40% dell’acidità.

Questo processo sta spingendo gli ecosistemi marini oltre i propri limiti di resilienza. Parallelamente, le ondate di calore marine si fanno sempre più frequenti e intense, mentre i livelli di ossigeno disciolto in acqua continuano a diminuire. L’acidificazione, alimentata principalmente dalle emissioni di combustibili fossili, non compromette soltanto la vita negli oceani, ma minaccia la sicurezza alimentare, la stabilità climatica globale e, dunque, il benessere dell’intera umanità.

 

Limiti planetari: superati sette su nove

Come evidenziato dal Planetary health check, sette dei nove limiti planetari sono già stati oltrepassati. Oltre al problema dell’acidificazione degli oceani (ocean acidification nell’immagine che segue), tra le situazioni più critiche troviamo quella della crisi climatica (climate change): le concentrazioni di CO₂ nell’atmosfera hanno infatti raggiunto le 423 ppm (parti per milione) nel 2025, ben oltre la soglia di sicurezza di 350 ppm fissata dalla comunità scientifica. Di pari passo, il forzante radiativo globale antropico (che esprime l’influenza di un fattore sull’effetto serra) ha superato +2,97 W/m² (watt per metro quadrato), il doppio della soglia di rischio elevato di +1,5 W/m². Inoltre, tutti i dati raccolti ci dicono che il riscaldamento globale sta accelerando: l’Artico che si riscalda più rapidamente, le aree urbane e industriali emergono come principali fonti di emissioni, si intensificano le fughe di metano in atmosfera. Cambiamenti rapidi che colpiscono anche la foresta amazzonica, la circolazione oceanica atlantica e le calotte polari.

Anche la biosfera (change in biosphere integrity) è in crisi: l’estinzione delle specie procede a ritmi superiori a 100 E/MSY (indica un tasso di 100 estinzioni per milione di specie per anno), dieci volte il limite sicuro. La perdita di biodiversità e il deterioramento delle funzioni ecosistemiche continuano poi senza sosta.

Il cambio d’uso del suolo (land system change) mostra scenari altrettanto preoccupanti: la copertura forestale globale è scesa al 59%, ben al di sotto del minimo sicuro del 75%, con tutti i principali biomi oltre le loro soglie di sicurezza.

Per quanto riguarda il ciclo dell’acqua (freshwater change), lo studio ci dice che oltre un quinto delle aree terrestri affronta deviazioni significative nel flusso dei corsi d’acqua e nell’umidità del suolo: il doppio rispetto ai livelli sicuri. I bacini fluviali più colpiti si trovano nella piana Indo-Gangetica e nella Cina settentrionale, mentre il cambiamento climatico rappresenta il fattore di maggior pressione.

Restano in zona ad alto rischio anche le modificazioni dei cicli biogeochimici (modification of biogeochemical flows), che mostrano valori di fosforo e azoto prodotti dalle attività umane raddoppiati e, in alcuni casi, triplicati rispetto ai limiti di sicurezza.

Allo stesso modo, le entità chimiche (introduction of novel entities), tra cui troviamo plastica e altri composti industriali, continuano a riversarsi nell’ambiente senza controllo, aggravando così i rischi per la salute umana e del pianeta.

Infine, grazie alla riduzione di alcune emissioni e agli effetti positivi del Protocollo di Montreal, gli altri due limiti planetari, cioè aerosol atmosferici (increase atmospheric aerosol landing) e ozono stratosferico (stratospheric ozone depletion), restano nella loro “Safe operating space” (zona di sicurezza). Tuttavia, anche qui permangono fattori di rischio, soprattutto su scala locale, pertanto la situazione va costantemente monitorata.

 

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