Summit Onu sull’Agenda 2030: per “salvare gli SDGs” servono azioni concrete

La ripresa post pandemica deve avvenire nel segno dello sviluppo sostenibile. È quanto hanno ribadito i governi di tutto il mondo durante l’ultimo summit Onu, l’High-level political forum (Hlpf), dando fede al tema dell’evento “Building back better from the coronavirus disease (Covid-19) while advancing the full implementation of the 2030 Agenda for sustainable development”, che si è svolto tra il 5 e il 18 luglio al Palazzo di vetro di New York. Anche quest’anno è stata posta particolare attenzione sull’andamento di alcuni Goal – è toccato ai Goal 4 (Istruzione), 5 (Parità di genere), 14 (Vita sott’acqua), 15 (Vita sulla terra) e 17 (Cooperazione) -; vista però la natura della riunione a tenere banco sono stati i tanti punti che s’intrecciano con il documento Onu, compresa la crisi innescata dall’invasione russa in Ucraina che sta avendo pesanti ripercussioni sul mondo dell’energia e dell’approvvigionamento delle materie prime.

Come di consueto la riunione si è conclusa con una dichiarazione congiunta che, in 142 paragrafi, sintesi di una negoziazione portata avanti negli ultimi sei mesi, inquadra sfide e opportunità che il percorso verso l’Agenda 2030 comporta. Nell’introdurre il documento, il vicesegretario delle Nazioni unite Amina J. Mohammed ha descritto come “incrollabile” l’impegno che i Paesi hanno preso nel 2015 sull’Agenda 2030, esortandoli però a lavorare più duramente anche in vista del summit 2023 (vedrà la partecipazione dei capi di Stato) “che deve rappresentare un punto di svolta per salvare gli SDGs”. L’attuazione dell’Agenda 2030 è stata infatti messa a dura prova dalla pandemia, come ricorda il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni unite Abdulla Shahid durante un suo intervento.

Dall’intensificarsi del cambiamento climatico e dei conflitti regionali, alla crescente disuguaglianza e all’insicurezza alimentare, le sfide che dobbiamo affrontare minacciano di far deragliare gli Obiettivi dell’Agenda 2030. Gli ultimi tre anni, nonostante siano stati segnati da un’immensa tragedia e da un dolore globale, ci hanno fornito una pausa per rivalutare lo stato del nostro mondo e della nostra esistenza, e per vedere cosa deve essere riparato, sostituito, rinnovato, reinventato o trasformato. Dobbiamo ancora cogliere appieno questa opportunità storica di profonda trasformazione, rinnovamento e ripristino. Cambiamo le cose. Decidiamo di agire ora. Assicuriamoci che le generazioni future guardino indietro a questa pandemia, a questo periodo storico, non solo come momento di dolore, ma di rinnovamento e cambiamento. Assicuriamoci che il dolore che abbiamo vissuto si traduca in lezioni apprese, in azioni e in un futuro più inclusivo, sostenibile e pieno di speranza. Per spezzare il circolo vizioso delle crisi bisogna fare di più che ‘guardare’ verso un futuro sostenibile, bisogna metterlo in pratica.

La dichiarazione ministeriale dell’Hlpf sottolinea con un certo allarme che, in alcuni ambiti legati allo sviluppo sostenibile, come quelli dell’istruzione e della povertà, la crisi del Covid-19 unita alla crisi climatica e alla crisi ucraina ha fatto perdere anni, se non decenni di progressi. Per ripartire, sarà fondamentale riconoscere l’importanza di un approccio multilaterale, solo così possiamo affrontare sfide ed esigenze dei Paesi in difficoltà (in particolare i Paesi africani, i Paesi meno sviluppati, e i Paesi in situazioni di conflitto e post-conflitto).

L’arretramento sullo sviluppo sostenibile viene confermato anche dal “The Sustainable Development Goals report”, valutazione rilasciata dall’Onu proprio in occasione dell’Hlpf.

Mentre il mondo affronta crisi e conflitti globali a cascata e interconnessi, le aspirazioni espresse nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sono in pericolo. Con la pandemia al suo terzo anno, la guerra in Ucraina sta esacerbando le crisi alimentari, energetiche, umanitarie e dei rifugiati, il tutto sullo sfondo di una vera e propria emergenza climatica – scrive nell’introduzione dello studio il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres – Il Covid-19 finora è costato direttamente o indirettamente la vita a quasi 15 milioni di persone. I sistemi sanitari globali sono stati sopraffatti e molti servizi sanitari essenziali sono stati interrotti, ponendo gravi minacce al progresso nella lotta contro altre malattie mortali. Molti milioni di persone in più vivono ora in condizioni di estrema povertà e soffrono di una maggiore fame rispetto ai livelli pre-pandemia. Si stima che negli ultimi due anni circa 147 milioni di bambini abbiano perso più della metà della loro istruzione in presenza, influenzando in modo significativo il loro apprendimento e il loro benessere. Le donne sono state colpite in modo sproporzionato dalle ricadute socioeconomiche della pandemia. L’aumento delle ondate di caldo, della siccità e delle inondazioni sta colpendo miliardi di persone in tutto il mondo, contribuendo ulteriormente alla povertà, alla fame e all’instabilità. Abbiamo bisogno di uno sforzo urgente per salvare gli SDGs.

Più passa il tempo e più vengono a galla le complicazioni del Covid-19. L’Onu con questa pubblicazione parla di un impatto “devastante”; solo in termini di povertà ci siamo giocati quattro anni di progressi spingendo 93 milioni di persone in più sotto la soglia della povertà estrema. Inoltre la realtà odierna è molto più instabile rispetto al passato, basti pensare che stiamo assistendo al maggior numero di conflitti violenti dal 1946, con un quarto della popolazione mondiale che ora vive in Paesi in tumulto, e con il triste record segnato dalle 100 milioni di persone che sono state sfollate con la forza in tutto il mondo.

Di fronte a questi dati appare chiare che il salvataggio degli SDGs non è un solo capriccio da parte dell’Onu, a maggior ragione in questo momento storico, visto che stiamo parlando dell’unica tabella di marcia esistente e condivisa a livello planetario “per uscire dalle crisi e per la nostra stessa sopravvivenza. La road map tracciata negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile è chiara. Proprio come l’impatto delle crisi è aggravato quando sono collegate, così lo sono le soluzioni. Quando agiamo per rafforzare i sistemi di protezione sociale, migliorare i servizi pubblici e investire in energia pulita, affrontiamo le cause profonde della crescente disuguaglianza, del degrado ambientale e del cambiamento climatico”.

Ma per dare attuazione a questo ambizioso piano sostenibile occorre fare di più, molto di più se analizziamo quanto fatto dal 2015 a oggi. A denunciarlo è uno studio pubblicato su Nature – ne abbiamo parlato qui – alla fine di giugno che accusa i governi di usare l’Agenda 2030 più per “finalità discorsive” che per intraprendere azioni concrete.

Non ci sono ancora prove evidenti che gli SDGs abbiano avuto un impatto trasformativo sui mandati, sulle pratiche o sull’allocazione delle risorse delle organizzazioni e delle istituzioni internazionali presenti all’interno del sistema delle Nazioni unite, sottolinea il lavoro di ricerca, che aggiunge: la maggior parte dei Paesi è in ritardo nell’attuazione – come conferma anche il rapporto Onu -, manca l’ambizione da parte dei governi che continuano a voler privilegiare la crescita economica rispetto, per esempio, agli Obiettivi ambientali dell’Agenda 2030.

Tornando al summit, ampio spazio alla discussione è stato dato ai mezzi finanziari e al debito che i Paesi poveri hanno contratto nei confronti di quelli ricchi che, in sostanza, li “paralizza” lungo la strada che porta alla sostenibilità economica, sociale, ambientale e istituzionale. Sull’argomento è intervenuto anche l’economista Jeffrey Sachs che ha definito “impraticabili” alcuni prestiti, soprattutto se l’obiettivo ultimo è quello del “non lasciare nessuno indietro”, come indica esplicitamente l’Agenda 2030.

Quarantaquattro Paesi hanno poi presentato le loro Voluntary national review durante l’Hlpf 2022. Tra questi anche l’Italia, che nel documento ha descritto quanto fatto fino a ora e ha fornito informazioni alle Nazioni unite su come intende alimentare nuove politiche votate alla sostenibilità.

I delegati hanno inoltre focalizzato l’attenzione sulle giovani generazioni per capire come aumentare la loro partecipazione al processo decisionale, dato che ne viene ampiamente riconosciuto il ruolo fondamentale per gettare le basi di una nuova società improntata su una diversa cultura economica, e sul rispetto dei vincoli ambientali e dei diritti di ogni individuo.

Non poteva infine mancare il dibattito sulla crisi climatica con lo scopo di “mantenere in vita l’obiettivo 1.5°C” (inteso come aumento medio della temperatura terrestre rispetto ai livelli pre-industriali) stabilito dall’Accordo di Parigi, raggiungibile solamente se poniamo velocemente fine alla dipendenza dai combustibili fossili, come indicato dall’ultimo studio Ipcc (il Panel intergovernativo che funge da supporto scientifico alla Conferenza Onu sul cambiamento climatico).

Intanto, il 18 luglio durante un evento sul riscaldamento globale a Berlino, António Guterres è tornato sul tema.

Otto mesi fa, alla Cop 26 di Glasgow, ci siamo lasciati sapendo che l’obiettivo 1.5°C era difficile da raggiungere. Oggi lo è ancor di più. Le concentrazioni di gas serra, l’innalzamento del livello del mare e il calore degli oceani hanno battuto nuovi record. Metà dell’umanità si trova nella zona di pericolo a causa di inondazioni, siccità, tempeste estreme e incendi. Ma nessuna nazione è immune al cambiamento climatico. Eppure, continuiamo ad alimentare la nostra dipendenza dai combustibili fossili  ricordiamo che oltre l’80% dell’energia nel mondo è tutt’ora prodotta da fonti fossili -. Quello che mi preoccupa di più è che, nell’affrontare questa crisi globale, non riusciamo a lavorare insieme come comunità multilaterale. Le nazioni continuano a giocare al gioco del darsi la colpa invece di assumersi la responsabilità del nostro futuro collettivo. Non possiamo continuare in questo modo. Dobbiamo ricostruire la fiducia e unirci per mantenere in vita l’obiettivo 1.5°C, realizzando comunità resilienti al clima. Abbiamo una scelta: azione collettiva o suicidio collettivo. Il futuro è nelle nostre mani.

Parole crude che descrivono purtroppo una difficile situazione. Ma una buona notizia c’è: per l’azione collettiva il piano più completo, ambizioso e dettagliato esiste e si chiama Agenda 2030. Mettiamola in pratica.

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