Stern, Stiglitz e la carbon tax per il clima

“Sfida accettata”. Deve essere stata questa la risposta data da Lord Nicholas Stern e Joseph Stiglitz alla richiesta di Ségolène Royal di creare una commissione in grado di tracciare la strada da seguire per una lotta efficace al cambiamento climatico. La commissione (che fa parte della Carbon Pricing Leadership Coalition), composta da economisti ed esperti dell’energia provenienti da tutto il mondo, si è occupata di trovare una misura chiave da mettere in campo sia per centrare l’obiettivo 2 gradi dell’Accordo di Parigi che per portare a compimento gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Agenda  2030, Sustainable Development Goals).

Serve una carbon tax
Per raggiungere gli obiettivi concordati sui tavoli internazionali abbiamo bisogno di una carbon tax decisa, forte. Applicata in modo trasversale dai Paesi firmatari di Parigi.
La conclusione a cui sono giunti Stern e Stiglitz insieme al loro team di ricerca (presentata a Berlino il 29 maggio), è che il mondo deve adottare necessariamente una carbon tax che oscilli tra i 40 e gli 80 dollari a tonnellata di CO2 entro il 2020 e tra i 50 e i 100 dollari entro il 2030. Per loro è questo lo strumento da mettere in campo se si vuole dar seguito alle promesse fatte negli ultimi summit globali. Un prezzo del carbonio incisivo e prevedibile per gli anni a venire, che fornisca alle persone e alle imprese una chiara rotta per i loro modelli di produzione e consumo e che consenta di incentivare gli investimenti nel settore della sostenibilità.

“La transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio è la storia della crescita di questo secolo – affermano i due co-presidenti – Stiamo già osservando il potenziale che ha con se questa trasformazione in termini di innovazione tecnologica, maggiore resilienza, vivibilità delle città, miglior salute e qualità dell’aria che respiriamo. Il nostro report si basa sulle enormi opportunità che il prezzo del carbonio offre all’economia mondiale. Insieme ad una serie di altre politiche economiche, è in grado di guidare la crescita sostenibile e la riduzione della povertà a cui ambiscono l’accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Nell’analisi condotta dai due economisti sono stati, ovviamente, tenuti in considerazione anche i “costi sociali imputabili al carbonio”. Quelli, in pratica, scaricati sulle spalle della collettività attraverso danni ambientali, sanitari e sociali dall’inquinamento.

Perché è stato scelto un range di variazione, nel report si parla di 40-80 $ e 50-100 $, dei prezzi?
Lo spiega bene il membro della commissione Harald Winkler dell’Università di Città del Capo: “Il prezzo del carbonio ha senso in tutti i Paesi ma i Paesi a basso reddito possono essere maggiormente vulnerabili agli impatti economici iniziali. Per questo, possono decidere di iniziare a fissare un prezzo ad un livello più basso per poi aumentare gradualmente nel tempo”.

C’è un altro fattore da sottolineare riguardo al report. Non solo la carbon tax (a questi prezzi) è la misura più efficace ma anche la più efficiente per la transizione. Viene specificato, infatti, che i Paesi possono pure scegliere di adottare una carbon tax a prezzi ancor più contenuti (a patto che l’affianchino con altre misure economiche che vadano nella stessa direzione) per raggiungere gli obiettivi climatici ma questo, però, risulterebbe più costoso per alimentare la transizione.

Perché mettere un prezzo al carbonio
Ci sono diversi percorsi che i Paesi possono intraprendere per applicare un prezzo al carbonio. Nell’intera Unione Europea ad esempio, vige il sistema cap and trade dell’Emission Trading Scheme (ETS oggi oggetto di riforma, qui per un approfondimento sull’argomento). Il punto è: quanto sono efficaci? Se parliamo di ETS non possiamo non considerare, alla luce anche di quanto detto in precedenza, quanto il prezzo della CO2 sia poco incentivante: ruota infatti intorno ai 5 € per tonnellata, lontanissimo da quanto auspicato da Stern e Stiglitz nel loro lavoro.
Tuttavia, anche su suolo europeo, c’è chi ha deciso di integrare all’ETS un meccanismo di carbon tax. Ne è un esempio (timido) la Francia e ne è un esempio (ottimo) la Svezia. Per il momento Italia non pervenuta, non sembra essere interessata a questo tipo di proposta.
Dare un prezzo al carbonio, e facendolo soprattutto attraverso una carbon tax, può incidere in modo significativo sul benessere della collettività. Tassare alla fonte chi produce un danno aiuta a catturare gli effetti esterni che impattano in modo negativo sulla nostra vita quotidiana. Un prezzo sul carbonio consente di spostare l’onere da chi effettivamente lo subisce a chi lo produce fornendo un messaggio ai produttori di CO2 che saranno costretti, per forza di cose, o ad interrompere le loro attività o a modificarle per non perdere la propria competività sul mercato.
Le entrate generate da questo tipo di tassazione possono essere poi utilizzate per promuovere lo sviluppo sostenibile, ridurre la tassazione sul lavoro, redistribuire la ricchezza, investire in ricerca e sviluppo, promuovere un reddito minimo garantito e migliorare il settore della sanità.

Insomma, se non si fosse ancora capito, per promuovere un futuro migliore dove sarà scongiurata la catastrofe climatica e dove, di pari passi, verranno ridotti gli inquinanti pericolosi per la salute (come lo smog ad esempio, solo in Italia fa 66000 morti l’anno) abbiamo bisogno, ora e più che mai, di una carbon tax.

 

Articolo pubblicato su giornalistinellerba.it

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Una risposta

  1. 8 Maggio 2024

    […] si raggiunge la neutralità carbonica in Italia e nel mondo grazie anche all’introduzione di una carbon tax globale; la net zero transformation, dove allo scenario net zero vengono associate innovazioni e […]

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