Le specie aliene invasive ci costano 423 miliardi di dollari all’anno

 

Ci sono importanti novità sulla tutela della biodiversità, a partire da quelle sull’impatto delle specie aliene invasive. Il 4 settembre l’Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services, meglio conosciuto con l’acronimo Ipbes, ha rilasciato uno studio che aggiorna le informazioni in nostro possesso riguardo a una delle principali cause di perdita di biodiversità.

Secondo l’Invasive alien species assessment, più di 37mila specie aliene si sono diffuse nel mondo a seguito dell’attività umana. Il tutto si traduce in un enorme costo per la collettività che ha superato i 423 miliardi di dollari all’anno nel 2019, quadruplicando i danni generati da queste specie nel 1970. Di queste 37mila, circa 3mila e 500 sono considerate invasive. Si tratta, in pratica, di organismi che vengono introdotti in ambienti diversi da quelli di origine e che possiedono un’alta capacità di adattarsi ai nuovi ecosistemi, capacità che le fa pian piano espandere minacciando l’esistenza della biodiversità locale (si pensi, ad esempio, al problema del granchio blu, protagonista-nemico dell’estate 2023). Alcune specie vengono volontariamente inserite dall’uomo, altre, invece, raggiungono accidentalmente i nostri Paesi: attraverso operazioni di scambi commerciali (commercio di piante esotiche, animali da compagnia, attività di pesca, attività venatoria…), seguendo le rotte turistiche o spinte a emigrare per via dell’aumento della temperatura a causa della crisi climatica. Quando queste specie si insediano in natura possono provocare problemi seri, sono infatti annoverate tra le maggiori cause dell’estinzione animale e vegetale. Sono inoltre in grado di portare nuove malattie, basti ricordare che il 60% delle malattie infettive umane provengono da zoonosi, cioè dal mondo animale (così come il Sars Cov 2, responsabile del Covid).

Una delle principali criticità segnalate dallo studio è data dalla “perdita di unicità delle comunità di vita”: all’aumentare delle specie aliene invasive aumenta in un modo più che proporzionale il loro impatto, di conseguenza diminuisce la diversità biologica e la capacità degli ecosistemi di essere resilienti. Un problema enorme, soprattutto in un momento in cui la resilienza dovrebbe crescere per contrastare i fenomeni negativi associati alle questioni ambientali.

Gli esperti credono, però, che è ancora possibile contrastare tale minaccia. Per farlo, bisognerebbe dare attuazione alla Convenzione sulla diversità biologica e aumentare la consapevolezza dei cittadini, delle imprese e dei governi su un tema tanto preoccupante quanto trascurato.

Gli sviluppi sull’accordo globale sulla biodiversità

Inizia a prendere forma il “Kunming-Montreal global biodiversity framework”, l’accordo sulla biodiversità con cui i Paesi si sono impegnati a proteggere almeno il 30% della natura entro il 2030, firmato durante la scorsa Convenzione Onu sulla diversità biologica (Cop 15) di Montreal.

Negli ultimi giorni – il 25 agosto – l’assemblea del Global environmental facility (Gef) ha infatti lanciato il Global biodiversity framework fund, fondo internazionale che deve consentire il rapido aumento dei fondi internazionali previsti per le attività di conservazione e ripristino della natura. Il fondo faciliterà inoltre il finanziamento dei Paesi in via di sviluppo, spesso tra i più ricchi di biodiversità, in modo da potenziare le loro capacità di proteggere, restaurare e garantire l’uso sostenibile delle risorse naturali.

La notizia accolta positivamente in ambito Onu è stata così commentata dalla vice direttrice generale della Fao, Maria Helena Semedo: “Il quadro globale sulla biodiversità di Kunming-Montreal pone i sistemi agroalimentari in prima linea in un’enorme sfida che richiederà importanti risorse finanziarie, coordinamento e impegno per implementare soluzioni vantaggiose per le persone e per il pianeta. Il nuovo Fondo è anche una parte essenziale dell’azione per il clima e un passo fondamentale verso la realizzazione di queste soluzioni“.

Qualche giorno prima, il 22 agosto, la Commissione mondiale per le aree protette (Iucn) insieme al Wwf e allo stesso Gef avevano pubblicato un manuale al fine di facilitare l’obiettivo di conservazione posto a Montreal. La guida, dal titolo “30×30: a guide to inclusive, equitable and effective implementation of target 3 of the Kunming-Montreal Global biodiversity framework”, è pensata per essere utilizzata da decisori politici e personale tecnico, da attori del settore pubblico e privato, da Ong e da gruppi di comunità e popolazioni indigene, e pone particolare attenzione su come far diventare questi gruppi “i custodi dei loro territori”.

Ci restano solo sei anni per raggiungere lo stato di conservazione del 30% della Terra – ha affermato il direttore generale Iucn, Grethel Aguilar -. È un obiettivo ambizioso che deve essere raggiunto in modo efficace ed equo. Questa guida aiuterà i Paesi a realizzare risultati positivi e duraturi per la biodiversità e la società e riconosce il ruolo chiave delle popolazioni indigene e delle comunità locali nel raggiungimento di un pianeta migliore per tutti”.

In generale, la guida è composta da due parti. La prima introduce l’obiettivo del 30% di rispristino e offre consigli su come rendere concreta l’azione di conservazione. La seconda fornisce raccomandazioni su come integrare le azioni di conservazione all’interno delle strategie nazionali sulla biodiversità. A tal proposito, l’Italia lo scorso sette agosto ha finalmente adottato la sua strategia.

Al via la Strategia nazionale sulla biodiversità

Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase), Gilberto Pichetto Fratin, ha firmato il decreto che adotta la Strategia nazionale per la biodiversità al 2030 volta a indicare in che modo il nostro Paese intende mantenere gli impegni assunti con la ratifica della Convenzione sulla biodiversità biologica, in coerenza anche con quanto previsto dalla Strategia europea per la biodiversità.

In concomitanza, il Mase ha istituito il “Comitato di gestione” composto da delegati dei ministeri per avviare iniziative che saranno poi sottoposte al vaglio della Conferenza Stato regioni, sede di decisione politica per l’attuazione e l’aggiornamento della Strategia stessa. Per consentire il confronto, è stato dato il via anche al tavolo di consultazione con le associazioni ambientaliste.

Infine, il 20 agosto è entrato in vigore il nuovo Piano d’azione nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica amministrazione che aggiorna la politica degli appalti verdi in Italia. Obiettivo è quello di avviare piani di mitigazione alla crisi climatica promuovendo al contempo forme di economia circolare e prevenendo i diversi tipi di inquinamento.

 

Articolo pubblicato su asvis.it

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