L’accordo sulla biodiversità che proverà a fermare l’era dell’estinzione
La biodiversità ha il suo accordo. Dopo il clamoroso fallimento di tutti i precedenti obiettivi, i 20 target di Aichi che andavano realizzati entro il 2020, i Paesi durante i negoziati della Cop 15 sono riusciti a trovare una quadra su un nuovo impianto globale che deve provare a ridurre da subito il fenomeno della perdita di biodiversità.
Nel quindicesimo meeting delle parti della Convenzione Onu sulla diversità biologica (Cop 15) che si è tenuto a Montreal dal 7 al 19 dicembre si è discusso di finanza, di pesticidi, del settore privato, dei diritti delle popolazioni indigene, di cambiamento climatico, dei sussidi dannosi all’ambiente, di agricoltura. Tra le decisioni prese troviamo l’intenzione di proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari entro il 2030 e di eliminare ogni anno 500 miliardi di dollari di sussidi dannosi all’ambiente. Vediamo, in sintesi, cosa emerge dal “Kunming-Montreal global biodiversity framework”, il documento finale che contiene i risultati del summit canadese a cui dovranno prestare attenzione imprese e governi, anche quello degli Stati Uniti, Paese che non ha mai ratificato (insieme al Vaticano) la Convenzione ma che dice di sostenere gli esiti di questo processo negoziale (inviando anche dei delegati ai summit).
4 obiettivi al 2050, 23 target al 2030
La strada che ha portato all’accordo è stata piena di ostacoli. Sia perché la Cop 15 è arrivata con forte ritardo, dato che doveva disputarsi nel 2020 in Cina, a Kunming, ma per via della pandemia è stata più volte rinviata e poi spezzata in due tronconi, di cui il primo online – qui per una sintesi – e il secondo di persona a Montreal; e sia per le fratture che esistono tra i Paesi sulle diverse, tante questioni che tocca da vicino la Convenzione. Per far un esempio, in questa Cop come in quella sul clima – qui per una sintesi sulla Cop 27 – ha tenuto banco il ruolo e l’entità dei finanziamenti che i Paesi ricchi devono destinare a quelli poveri. Un tema che ha generato una vera e propria spaccatura nel corso della giornata del 15 dicembre quando, in segno di protesta, i Paesi in via di sviluppo hanno addirittura lasciato la sala dei negoziati, scontenti per l’opposizione ricevuta sulla creazione di un fondo per la biodiversità.
Anche dopo l’approvazione del documento finale da parte della presidenza, affidata alla Cina, sono sorti dei malumori. In particolare, i negoziatori del Camerun, dell’Uganda e della Repubblica del Congo e altri Paesi africani hanno mostrato incredulità per la fretta con cui è stata data per buona l’ultima versione, accusando la Cina di essere stata antidemocratica.
In generale, all’interno del documento finale troviamo parte degli elementi presenti in quella “bozza zero” che era stata predisposta due anni fa dal Working group 2020, organo a supporto della Convenzione, e poi ripresa anche nella “Dichiarazione di Kunming” dello scorso anno che impegnava i Paesi a costruire proprio durante questo summit un quadro globale efficace per la biodiversità post 2020.
Sebbene non siano vincolanti, particolare che va sempre ricordato, sono quattro gli obiettivi posti al 2050 e 23 quelli indicati come “target” da centrare entro il 2030 contenuti nel documento, che devono servire per l’adozione di una “Vision for biodiversity” capace di far vivere l’umanità in armonia con la natura entro metà secolo, senza cioè generare impatti sugli ambienti naturali. I quattro obiettivi di lungo termine puntano:
- ad aumentare la resilienza degli ecosistemi, riducendo al contempo di 10 volte il tasso di estinzione delle specie e incrementando l’abbondanza di quelle selvatiche;
- a promuovere una gestione sostenibile della biodiversità e dei servizi ecosistemici, a beneficio delle generazioni presenti e future;
- alla condivisione dei benefici monetari e non derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche;
- a sviluppare mezzi di attuazione adeguati sia sotto al profilo tecnologico sia sotto quello dei finanziamenti che devono progressivamente andare a colmare il gap finanziario di 700 miliardi di dollari all’anno da impiegare per la tutela della biodiversità.
Inoltre, è stato istituito un nuovo sistema di monitoraggio per la raccolta dei dati, che deve essere aggiornato ogni cinque anni.
Proteggere la natura: c’è il target del 30×30
Entro il 2030 almeno il 30% delle arre degradate deve essere in fase di ripristino e almeno il 30% delle aree di particolare importanza per la biodiversità e i servizi ecosistemici (terre, zone costiere e marine) deve essere conservato. È scritto nero su bianco nell’accordo di Kunming-Montreal che alza l’asticella sulla protezione della natura ma non raggiunge il parametro del 50% consigliato dalla comunità scientifica.
Presente anche la lotta al traffico illegale di specie selvatiche – anche per ridurre la possibilità di nuovi “spillover” capaci di innescare epidemie e pandemie – e alle specie aliene invasive per cercare di limitarne il tasso d’introduzione in ambienti naturali diversi da quelli di origine di almeno il 50% entro il 2030, ponendo particolare attenzione alle specie più distruttive.
Inoltre, nel documento si segnala l’intenzione di voler mettere un freno all’inquinamento, di garantire una gestione sostenibile dei servizi ecosistemici, di ridurre al minimo l’impatto della crisi climatica, di arrestare e invertire la tendenza negativa che ha investito la biodiversità di tutto il mondo e di garantire il pieno diritto delle popolazioni locali alle proprie terre. Riguardo quest’ultimo punto, Viviana Figueroa, rappresentante dell’International indigenous forum on biodiversity, ha dichiarato al Guardian che si sta finalmente “riconoscendo che anche le popolazioni indigene possono dare un contributo alla conservazione della biodiversità. Per noi è come un cambio di paradigma. I Paesi stanno capendo l’importante ruolo, prima invisibile, che queste popolazioni detengono”. Un netto passo avanti rispetto al passato.
Ci si aspettava invece di più sui pesticidi, principali responsabili di quell’apocalisse silenziosa che sta minacciando la vita degli insetti e degli impollinatori, dove non troviamo un impegno definito ma un astratto “va ridotto il rischio”, e sul consumo eccessivo delle risorse.
Finanza per la biodiversità
Sulla questione più difficile si è finalmente arrivati a una sintesi, grazie anche al modo in cui negoziati sono stati condotti dalla presidenza cinese che – anche insieme all’Europa – voleva portare a casa un importante risultato.
Positiva è sicuramente l’intenzione di voler eliminare in modo graduale, o di riformare, i sussidi che minacciano la biodiversità nel mondo per una cifra di 500 miliardi di dollari l’anno – ricordiamo che secondo l’Unep i governi spendono dai 500 miliardi ai 1000 miliardi di dollari l’anno in sussidi dannosi all’ambiente e alla biodiversità -, ribadendo inoltre che in questo decennio si dovranno mobilitare almeno 200 miliardi di dollari l’anno per finanziare le azioni di ripristino. Soldi provenienti sia dal settore pubblico e sia dal settore privato, che saranno raccolti nel Global environmental fund.
Per garantire le risorse saranno utilizzati anche nuovi strumenti economici, come i “biodiversity credits” (incentivi economici che incoraggiano i proprietari terrieri privati a una gestione della loro terra incentrata sui meccanismi naturali).
Biodiversità: ultima chiamata per salvare il benessere dell’umanità
L’uomo ha già modificato in maniera significativa circa il 75% delle terre emerse e il 66% degli ecosistemi marini. Sulle otto milioni di specie animali e vegetali conosciute, oggi un milione sono in via di estinzione: un rischio che l’azione antropica ha accelerato di mille volte rispetto al tasso naturale.
L’attività umana è ora la “forza dominante”, basti pensare che la massa di prodotti artificiali generati dall’uomo (fatta di edifici, strade, cemento…) ha superato quella naturale che racchiude l’insieme di “tutta la vita” presente sul Pianeta, e che l’antropocene ha dato inizio alla sesta estinzione di massa.
Questa volta siamo noi l’asteroide che sta impattando sul Pianeta e su quei servizi ecosistemici prodotti gratuitamente dalla natura di cui, sempre noi, abbiamo bisogno per vivere. Ma siamo anche “parte della soluzione”, come ricorda la Convenzione.
Governi, imprese e persone hanno ora un nuovo e più ampio accordo – che andrà via via perfezionato – per invertire la perdita di biodiversità. Un nuovo fallimento, sulla scia dei target di Aichi, non è ammesso. Su questo la natura è chiara, e ce lo sta facendo capire.
Una risposta
[…] (Cop 16, che si svolge dal 21 ottobre al primo novembre), dovrà indicare la strada per proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari entro il 2030, eliminando ogni anno almeno 500 miliardi di dollari di sussidi dannosi all’ambiente. Tre […]