Ipcc: sul clima non c’è più spazio per le mezze misure, a rischio la vita di miliardi di persone
Resta poco tempo per mantenere l’aumento della temperatura entro 1.5°C, evitando i più gravi disastri imposti dalla crisi climatica. L’attività di adattamento è sempre più centrale: già in atto fenomeni irreversibili.
Dopo il primo volume reso noto ad agosto del 2021, e prima del terzo sulla mitigazione e sul taglio delle emissioni previsto per aprile, l’Ipcc (Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) ha presentato la seconda parte del Rapporto “AR6” (sixth assessment report) che descrive impatti, vulnerabilità, e politiche di adattamento al cambiamento climatico. “Questo rapporto è un terribile avvertimento sulle conseguenze dell’inazione“, ha detto Hoesung Lee, presidente dell’Ipcc. “Mostra che il cambiamento climatico è una minaccia grave e crescente per il nostro benessere e per un Pianeta sano. Le nostre azioni di oggi determinano il modo in cui le persone e la natura si adattano ai crescenti rischi connessi ai cambiamenti climatici”.
Se non riusciremo a contrastare l’aumento della temperatura del Pianeta ci saranno gravi impatti sugli ecosistemi e sul nostro benessere, anche in caso di raggiungimento dell’obiettivo 1.5°C (attualmente siamo a 1.1°C), che però resta fondamentale per evitare i più gravi disastri imposti dalla crisi climatica. Già oggi il cambiamento climatico sta avendo pericolose ripercussioni sulla vita di miliardi di persone, serve un’azione urgente dato che “qualsiasi ritardo nell’azione farà rapidamente chiudere la finestra di opportunità, quella in grado di garantire un futuro vivibile e sostenibile per l’intera umanità”.
Una situazione, quella odierna, addirittura peggiore di quanto avevano previsto in precedenza gli scienziati. Nei prossimi anni almeno un miliardo di persone è a rischio inondazioni (soprattutto chi vive lungo le coste), e se le temperature dovessero aumentare ancora, cosa più che probabile visto che continuano a crescere i gas serra in atmosfera, già intorno a un aumento di 1.7°C-1.8°C quasi metà della popolazione globale (3,6 miliardi di persone) sarà esposta a condizioni potenzialmente letali. Stesso discorso per le specie animali e vegetali: a questi livelli di temperatura il 14% delle specie è ad altissimo rischio di estinzione.
Adattamento è la parola d’ordine, l’obiettivo 1.5°C resta fondamentale
Se fino a ora il mondo ha discusso, anche durante le Conferenze sul clima, soprattutto dell’attività di mitigazione (anch’essa procede molto a rilento), è ormai chiaro che andremo incontro a pesanti cambiamenti, visti gli enormi ritardi accumulati negli anni in termini di politiche di taglio delle emissioni. Motivo per cui l’attività di adattamento diventa sempre più cruciale.
È necessario mettere in campo un’azione ambiziosa per “evitare una crescente perdita di vite umane, biodiversità e infrastrutture”, frutto di “impatti a cascata sempre più difficili da gestire” che dipendono da eventi meteorologici estremi sempre più frequenti: l’aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni sta già superando le soglie di tolleranza di piante e animali. “Questo rapporto riconosce l’interdipendenza tra clima, biodiversità e persone e integra le scienze naturali, sociali ed economiche in modo più forte rispetto alle precedenti valutazioni dell’Ipcc. Inoltre sottolinea l’urgenza di un’azione immediata e più ambiziosa per affrontare i rischi climatici. Le mezze misure non sono più una possibilità“, ha continuato Hoesung Lee.
L’adattamento ha dei limiti
Durante il webinar tenuto dal Cmcc (Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), che ha descritto gli impatti nella zona mediterranea evidenziati dal rapporto, Piero Lionello ha dichiarato: “In molte regioni la capacità di adattamento è già notevolmente limitata. Se l’aumento della temperatura rispetto ai valori dell’epoca preindustriale supererà 1.5°C, questa capacità di adattamento risulterà ancora più limitata e avrà un’efficacia ancora più ridotta. Di conseguenza, adattamento e riduzione dei rischi sono strettamente collegati alla mitigazione del cambiamento climatico in atto, ossia alle soluzioni capaci di ridurre l’innalzamento della temperatura: maggiore sarà il riscaldamento del Pianeta, più limitata e costosa sarà la capacità di adattamento”.
Due cose devono essere chiare: la prima è che l’attività antropica ha già innescato nei sistemi naturali una serie di conseguenze ormai irreversibili, basti pensare all’aumento del livello del mare e al fatto che molte isole verranno sommerse, qualsiasi cosa oggi noi facciamo; la seconda che incita il mondo a fare il possibile per contrastare la crisi climatica: più riusciremo a stare al di sotto del limite di 1.5°C, meno impatti devastanti e fenomeni irreversibili ci saranno.
L’Ipcc racchiude i “limiti all’adattamento” in due grosse categorie, quella “soft” e quella “hard”. La prima fa riferimento a settori dove l’umanità può fare molto, dato che si tratta di limiti che possono essere superati attraverso la “volontà politica”, come la trasformazione del settore finanziario e del mercato, in modo da rendere l’economia a più basso contenuto di carbonio.
La categoria hard, invece, dipende dalla natura e dalle nostre capacità biologiche: l’essere umano non può vivere in luoghi troppo caldi, dove il corpo umano non è in grado di raffreddarsi esistono “potenziali conseguenze mortali”.
Una sfida complessa
Un dato fondamentale dello studio sottolinea che l’azione climatica deve concentrarsi sui concetti di equità e giustizia, gli stessi messi in discussione anche dal tempismo. In pratica, più ritarderemo le misure di contrasto al cambiamento climatico, meno saremo in grado di garantire un futuro “vivibile” sul Pianeta. Serve un impegno politico coerente con questa “sfida complessa”. Sebbene stiamo parlando di un fenomeno globale, abbiamo bisogno anche di soluzioni locali; per questo l’Ipcc fornisce un’ampia gamma di informazioni regionali. In alcune zone “realizzare uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici sarà una cosa impossibile se il riscaldamento globale dovesse superare i 2°C”, si legge nello studio.
Le misure di adattamento passano dalle città
“Ecosistemi in salute sono più resilienti di fronte ai cambiamenti climatici e forniscono servizi essenziali per la vita, come cibo e acqua”, ha detto il co- presidente del gruppo di lavoro numero due (Working group II, quello dedicato a impatti e adattamento) dell’Ipcc Hans-Otto Pörtner. “Ripristinando gli ecosistemi degradati e conservando efficacemente ed equamente tra il 30% e il 50% degli habitat terrestri, d’acqua dolce e marini, le società umane possono trarre beneficio dalla capacità della natura di assorbire e immagazzinare carbonio. In questo modo possiamo accelerare il progresso verso lo sviluppo sostenibile, ma sono essenziali finanziamenti adeguati e sostegno politico”.
Particolare attenzione è stata posta al ruolo delle città, luoghi fondamentali per l’adattamento, dove vive più della metà della popolazione mondiale. Se facciamo, per esempio, riferimento a infrastrutture come i sistemi energetici e di trasporto, vediamo che queste sono messi sotto stress dalle ondate di calore, dalle tempeste, dalla siccità e dalle inondazioni. Distruggere la natura impone dunque un prezzo da pagare, che si riversa sul nostro vivere quotidiano. “Ma le città offrono anche opportunità di azione per il clima: edifici verdi, forniture affidabili di acqua potabile ed energia rinnovabile, sistemi di trasporto sostenibili per collegare aree urbane e rurali. Sono tutte iniziative che possono portare a una società più inclusiva e più giusta”, ha dichiarato l’altra co-presidente, Debra Roberts.
La tecnologia non basta e non può tutto
Anche qui il rapporto è chiaro: tecnologie di cattura della CO2 e, in generale, di geoingegneria, possono dare un aiuto in alcuni casi ma non devono guidare l’azione climatica, o si rischiano effetti indesiderati. La reale soluzione da mettere in campo è uno sviluppo che sia sostenibile e resiliente da un punto di vista climatico.
Enormi rischi per l’Europa: minacciata la nostra disponibilità di acqua
L’Ipcc identifica quattro rischi-chiave per l’Europa: maggiore frequenza e intensità delle ondate di calore; scarsità della produzione agricola; scarsità della risorse idrica; maggiore frequenza e intensità delle inondazioni.
Per quanto riguarda le ondate di calore, lo studio avverte che se le temperature dovessero innalzarsi fino a 3°C queste triplicheranno rispetto a un riscaldamento di 1.5°C; mentre per il settore agricolo per via della “combinazione di caldo e siccità, si prevedono in questo secolo perdite sostanziali in termini di produzione agricola per la maggior parte delle aree europee, che non saranno compensate dai guadagni attesi per l’Europa settentrionale”.
Al centro degli impatti c’è la risorsa idrica, elemento essenziale per la vita umana, oltre che driver di sviluppo per ogni società. Secondo l’Ipcc il rischio di scarsità idrica nell’Europa meridionale “è già elevato per un livello di riscaldamento globale di 1.5°C e diventa molto alto nel caso di un innalzamento di 3°C. In queste regioni, la domanda di risorse idriche eccede già oggi le disponibilità. Un divario che sta aumentando a causa dei cambiamenti climatici e della crescita socio-economica. Nel caso di un innalzamento di temperatura di 3°C, il rischio di scarsità di risorse idriche diventa alto anche nell’Europa centro-occidentale”. Una situazione che, in pratica, viene sperimentata già oggi dai Paese del Nord Africa e del Medio Oriente.
In tutti gli scenari costruiti dallo studio, il numero di giorni in cui l’Europa meridionale (Italia compresa) non avrà sufficienti risorse idriche (disponibilità inferiore alla richiesta) risulta in aumento. Se le temperature dovessero aumentare di 2°C invece che di 1.5°C, la scarsità idrica che colpirà queste zone passerà dal coinvolgere il 18% al 54% della popolazione. Di pari passo cresce l’aridità del suolo e il fenomeno della desertificazione: “in uno scenario di innalzamento della temperatura di 3°C l’aridità del suolo risulta del 40% superiore rispetto a uno scenario con innalzamento della temperatura a 1.5°C”.
E ancora. A causa dei cambiamenti nelle precipitazioni e dell’innalzamento del livello del mare, i rischi per le persone e le infrastrutture derivanti dalle inondazioni costiere, fluviali e pluviali aumenteranno in molte regioni d’Europa. Un mix di rischi ulteriormente esacerbato da una serie di fattori: il Mediterraneo è una zona che si è riscaldata, e continuerà a farlo, a un ritmo superiore alla media globale, e per questo occorre aspettarsi danni maggiori (almeno nei prossimi anni) rispetto ad altre zone nel mondo. “Il bacino del Mediterraneo presenta rischi particolarmente elevati per persone ed ecosistemi”.
Capitolo ecosistemi: crescenti perdite in ogni angolo del mondo
Per fare qualche esempio. L’aumento delle temperature ha fatto aumentare il numero delle malattie provenienti dalle faune selvatiche che colpiscono l’uomo, una serie di queste “prove” sono state rinvenute nei Paesi in prossimità della regione artica. In generale il rapporto segnala che stiamo perdendo pezzi di biodiversità in ogni parte del Pianeta e che il cambiamento climatico è in grado di innescare una serie di effetti a catena che si ripercuotono con maggiore forza sui sistemi naturali. È il caso delle specie aliene invasive che fuggono per via dell’alta temperatura dagli ecosistemi di origine, andando a intaccare l’equilibrio naturale di altre zone (limitrofe e non).
Se invece parliamo di copertura forestale, le prove raccolte dall’Ipcc mostrano come il cambiamento climatico causato dall’uomo abbia contribuito al raddoppio dell’area bruciata dagli incendi negli Stati Uniti occidentali dagli anni ’80.
E si potrebbe continuare parecchio; c’è una lunga lista di specie scomparse e messe a rischio dalla crisi climatica. In pericolo anche la capacità di offrire cibo e tutte le altre funzioni ecosistemiche da cui l’umanità dipende. Interessante è poi il dato sulla capacità di stoccaggio della CO2. Nonostante l’impatto umano sul Pianeta, il terreno riesce ancora a fornirci un grosso aiuto nel combattere la crisi climatica. Tuttavia la sua capacità di stoccaggio, anche per via delle emissioni climalteranti prodotte dall’uomo, rischia pian piano di indebolirsi.
Il cambiamento climatico mette in discussione la vita umana sul Pianeta
Insomma, per l’ennesima volta, ma con toni ancora più forti, l’lpcc chiarisce che stiamo parlando di un fenomeno, quello del riscaldamento globale, che produrrà una serie di conseguenze di tale portata da stravolgere l’equilibrio socio-economico mondiale. Dall’aumento dei flussi migratori alla perdita di biodiversità, dall’aumento della povertà agli enormi impatti sull’Agenda 2030, fino alla messa in discussione della vita umana sul Pianeta. Tutti temi trattati in questa seconda parte dell’AR6, che ribadisce con forza: bisogna agire subito.