Il fallimento dell’azione climatica resta la più grande minaccia al nostro futuro

Nonostante siano trascorsi quasi due anni dallo scoppio della pandemia, per l’ultimo Global risks report del World economic forum (Wef) il virus non è la principale minaccia che il mondo sarà costretto ad affrontare nei prossimi anni. Secondo lo studio pubblicato l’11 gennaio, infatti, è sempre il cambiamento climatico il più grande rischio per la stabilità socio-economica globale. Nei primi cinque posti della “Top 10 global risks”, stilata dal Wef in base ai risultati dell’ultimo sondaggio “Global risks perception survey” (Grps) sui maggiori rischi dei prossimi 10 anni, le prime tre posizioni sono tutte occupate da problemi di matrice ambientale: seguono alla crisi climatica i danni generati dagli eventi estremi e quelli relativi alla perdita di biodiversità. Al quarto posto, invece, troviamo la graduale scomparsa di coesione sociale e al quinto la crisi dei mezzi di sussistenza, due elementi di disordine sociale anch’essi riconducibili a crisi ambientali. Gli effetti negativi legati alle malattie infettive sono “solo” al sesto posto. Chiudono la classifica altre due questioni legate alla gestione degli ecosistemi, cioè i danni all’ambiente generati dall’uomo e il depauperamento delle risorse naturali, poi crisi del debito e tensioni geopolitiche.

Il Grps è stato condotto su un campione di oltre mille intervistati, nell’ambito della rete del Wef fatta di accademici, imprenditori, uomini di governo, esponenti della società civile e “leader di pensiero”.

Clima: impegni insufficienti. A destare particolare preoccupazione è il fallimento dell’azione climatica. Per il Wef i costi legati all’inazione potrebbero far perdere all’economia mondiale fino al 18% del Pil, come chiarito dalle parole di Peter Giger dello Zurich insurance group, istituto che ha curato lo studio con il Wef: “La mancata azione sui cambiamenti climatici potrebbe ridurre il Pil globale di un sesto. Ma non è troppo tardi per agire sui rischi che corriamo e per guidare una transizione innovativa, determinata e inclusiva che protegga le economie e le persone”.

Per arrestare l’aumento medio della temperatura terrestre entro 1,5°C (rispetto ai livelli preindustriali), evitando così i più gravi disastri imposti dal riscaldamento globale, serve un drastico cambio nelle politiche climatiche nei prossimi 12-18 mesi. “Ma non si può solo fare affidamento alle norme che la politica sarà in grado di mettere in campo”, per accelerare la transizione le aziende devono trasformare le proprie attività, anche per trarre vantaggio dalla crisi innescata dalla pandemia e dagli obiettivi di neutralità climatica posto al 2050 e da quello del dimezzamento delle emissioni climalteranti da raggiungere entro il 2030.

“Il tempo stringe”, ricorda ancora lo studio, “mancano solo otto anni alla fine di un decennio determinante per mettere un freno al riscaldamento globale”. Il timore è che cambiamenti politici tardivi lascino alle imprese e alle società poco tempo per adattarsi, causando profonde interruzioni all’azione climatica. “Invece di sperimentare una transizione graduale verso un mondo a zero emissioni nette al 2050, rischiamo una transizione caotica o disordinata” che colpirà, in termini di disagi sociali, non solo i settori ad alta intensità di carbonio ma anche quelli legati all’agricoltura, ai trasporti e alle industrie pesanti.

Il rapporto evidenzia inoltre i costi e i benefici sociali legati alla transizione energetica: se il processo di riconversione non dovesse tener conto delle implicazioni sociali, continueranno ad aumentare le disuguaglianze all’interno e tra i Paesi “intensificando le tensioni geopolitiche”.

C’è poi il tema della giusta transizione. Mentre il settore dei combustibili fossili potrebbe perdere entro metà secolo circa 8 milioni di posti di lavoro, quello rinnovabile potrebbe crearne molti di più, addirittura 42 milioni, sempre entro il 2050 (rispetto agli 11 milioni del 2018). Ulteriore dato che spiega bene cosa intenda il Wef con il “non subire la transizione”: con misure di formazione e reinserimento dei lavoratori, per esempio da un settore all’altro, si avrebbero grossi benefici sia in termini sociali e sia economici.

Capitolo pandemia: solo il 6% dei vaccinati vive nei Paesi più poveri. Un forte elemento di disuguaglianza riguarda la somministrazione dei vaccini in giro per il mondo, su cui il Global risks report fa il punto della situazione. Al momento solo il 6% della popolazione che risiede nei 52 Paesi più poveri del mondo (dove vive il 20% della popolazione mondiale) risulta vaccinata. Un dato che potrebbe incidere sulla ripresa economica, che sta già procedendo in maniera irregolare. Secondo le ultime stime la pandemia dovrebbe contrarre del 2,3% l’economia globale entro il 2024, rispetto a quanto previsto prima della diffusione del virus. Quello della somministrazione dei vaccini è un ritardo che, unito a quello della digitalizzazione, rischia di generare conseguenze economiche negative per anni, se non per decenni, nei Paesi meno ricchi, aumentando ancor di più la forbice delle disuguaglianze globali.

Quali rischi per l’Italia? Di fianco al Grps nello studio troviamo anche i risultati di un altro sondaggio, l’Eos: l’Executive opinion survey che fa riferimento ai rischi percepiti in ogni nazione. A questo sondaggio hanno dato risposta alla domanda “Quali cinque rischi rappresenteranno una minaccia critica nel tuo Paese nei prossimi due anni?” oltre 12 mila persone, che occupano posti di rilievo e dirigenziali, sparse tra le 124 economie sotto esame.

Per quanto riguarda l’Italia, a pari merito al primo posto troviamo il fallimento dell’azione climatica e la crisi del debito; seguono i danni causati dagli eventi estremi, la perdita di risorse strategiche per il Paese a causa dell’evoluzione geopolitica, e il divario digitale.

I focus su migrazioni, spazio e sistemi digitali. Quest’anno il lavoro del Wef approfondisce anche temi di particolare rilievo sia in chiave attuale e sia in prospettiva. Si parla, per esempio, di minacce alla sicurezza informatica che stanno crescendo e che rischiano di andare oltre la capacità delle società di prevenirle in modo efficace. “Man mano che gli attacchi diventano più gravi e di ampio impatto, le tensioni già acute tra i governi colpiti dalla criminalità informatica e i governi complici della loro commissione aumenteranno”, si legge infatti nel rapporto che avverte: “il rischio è che la sicurezza informatica diventi un altro elemento di divergenza piuttosto che di cooperazione tra gli stati nazionali”.

Per quanto riguarda le migrazioni, il Wef ricorda che solo nel 2020 ci sono stati oltre 34 milioni di sfollati, persone costrette a spostarsi a causa dei conflitti in atto nel mondo, un massimo storico. Anche per via della pandemia, molti Paesi stanno reagendo con misure di protezionismo economico creando così maggiori barriere per i migranti, in cerca anche di nuove opportunità. Queste misure restrittive potrebbero però ripercuotersi negativamente sull’andamento economico dei Paesi, basti pensare che solo negli Stati Uniti c’è una carenza di 11 milioni di “posti di lavoro vacanti”. In Europa questo deficit, solo nel settore dei trasporti, è pari a 400 mila.

Infine, la corsa allo spazio. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento dell’attività spaziale che, se da una parte crea nuove opportunità, dall’altra deve fronteggiare diversi rischi. Innanzitutto serve costruire una migliore governance globale, dato che sempre più attori puntano a fornire nuovi servizi satellitari, in particolare nel settore delle comunicazioni relative a internet. Una conseguenza diretta di una intensa attività spaziale potrebbe, per esempio, essere quella di maggiori collisioni tra satelliti in orbita: l’aumento dei detriti spaziali rischia di avere un impatto sulla gestione delle infrastrutture che ospitano “sistemi chiave” per la Terra. Oltre a danneggiare preziose apparecchiature spaziali, l’ulteriore rischio è quello di danneggiare i già delicati e vulnerabili rapporti internazionali.

 

Articolo pubblicato su asvis.it

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